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    La fine di “Io, professione mitomane”: la pagina che stava diventando quello che voleva distruggere

    Di Selvaggia Lucarelli
    Pubblicato il 20 Feb. 2021 alle 14:51 Aggiornato il 20 Feb. 2021 alle 14:58

    Da qualche giorno ha chiuso la pagina Facebook “Io professione mitomane”, lasciando molti fan orfani della loro dose di mitomania quotidiana.

    E regalando un definitivo sollievo ai bersagli preferiti della pagina, alcuni dei quali-va detto- si impegnavano parecchio per finirci dentro. Bersagli che, per chi non ha seguito la “missione” di “Io professione mitomane”, erano giornalisti/scrittori/influencer convinti di cambiare le sorti del mondo a colpi di post o di essere gli eredi naturali di Hemingway.

    La pagina fb  “L’intellettuale dissidente”  ha chiesto agli (anonimi) gestori della pagina il perché della sparizione, visto che molti avevano insinuato l’ipotesi “ban” a seguito di segnalazioni: “Nessuna censura nessuna segnalazione. Abbiamo chiuso la pagina e basta perché era diventato faticoso seguirla. Crediamo che il messaggio che volevamo mandare è comunque arrivato ed era inutile continuare all’infinito, diventando noi stessi protagonisti di un’arena (i social e il loro funzionamento) che ci toglie tempo, tempo di vita e capacità critiche. Uno dei problemi principali è stata la gestione dei commenti. Finché erano venti o trenta per post era possibile controllarli tutti con una relativa facilità, diventati centinaia le possibilità di lasciare insulti, offese, contenuti di natura sessista, razzista o comunque non in linea con il rispetto che abbiamo sempre chiesto, erano altissime”.

    Insomma, il giocattolo si era rotto. Ed è un peccato, perché era un bel giocattolo. Che però qualche ingranaggio cominciasse ad andare per conto suo e ad animare il giocattolo di un ghigno malevolo ben oltre le intenzioni iniziali, era diventato purtroppo evidente.

    “Io professione mitomane” è stata, per lungo tempo, una pagina geniale ed esilarante. Lo smascheramento costante di slanci di vanità dello scrittore piacione, dell’influencer mitomane, dell’economista sfigato, del politico finto-visionario, dei giornalisti boriosi, era un capolavoro di ironia.

    Lo svelamento dei vanagloriosi che, senza traccia di senso del ridicolo, inventavano di essere braccati per strada dai fan (col titolo di coda “Quentin Inventino”) o, al contrario, si raccontavano come dei geni assoluti ma incompresi, è stato uno spettacolo di raro divertimento.

    Rimarranno nella storia il thread “Cathyrider”, ovvero il post dell’avvocato Cathy La Torre che il 12 settembre 2018 racconta di essere stata lodata dal fattorino che le portava la pizza e poi, un anno dopo, racconta lo stesso aneddoto, cambiando giusto qualche virgola.

    O i post empatici, di partecipazione emotiva ad immancabili tragedie umane seguiti dall’ormai mitica scritta “Clicca qui per comprare il mio libro” dei vari Tosa e Scanzi. O i celebri sfottò a Lorenzo Crea, uno che ha la missione nel cognome: crea pagine a suo nome che condividono pagine a suo nome che mettono like a pagine a suo nome in una sorta di esilarante (ed innocua) matrioska di mitomania.

    Indimenticabili i post sulle improbabili classifiche dei giornalisti più seguiti del web con messaggi di ringraziamento ai fan che nemmeno Biden durante insediamento alla Casa Bianca o il contest “Coppa Scanzi”, in cui si poteva decidere il mitomane dell’anno. O i deliri narcisistico-aggressivi di Fabrizio Delprete.

    Una volta, durante la pandemia, finii pure io nella pagina, per via di una storiella: un ragazzo denunciò un pranzo tra amici durante la quarantena, arrivarono i carabinieri che presero un po’ la cosa sottogamba e lui li minacciò: “Allora lo dico la Lucarelli”. Mi raccontò l’aneddoto e io lo riportai. Fui sfottuta, ci risi su. E di cose che mi hanno fatto ridere in quella pagina ce ne sono state tante, perché la mitomania è un tema affascinante.

    Ci cadono persone incredibilmente intelligenti e ti chiedi perché. Perché. Perché. Alcuni, poi, sono seriali e non ti chiedi neppure più il perché: narcisismo patologico. Che voglio dire, non ha mai ucciso nessuno, almeno finché non te lo sposi, un narcisista (maligno).

    Poi la pagina ha preso una piega sempre meno divertente, sempre più “disagiante”, direbbe mio figlio. E il problema era, soprattutto, nel tenore dei commenti (alcuni dei quali erano geniali).

    Seguita da un target abbastanza alto, con molti aspiranti scrittori/giornalisti tra i follower, ad un certo punto il clima generale della pagina da giocoso è diventato livoroso. Un livore feroce, ben lontano dall’atmosfera intelligente seppur canzonatoria degli inizi. Un livore che puzzava di invidia e di successo frustrato camuffati da superiorità intellettuale.

    Un livore che talvolta puzzava di politica. Di bullismo ben agghindato. Un bullismo di livello, quindi pure più malvagio, perché lì non c’erano i “puttana”, ma le lame affilate di chi ti odia con gli strumenti intellettuali per partorire commenti sarcastici e cattivissimi, che insieme ad altri commenti sarcastici e cattivissimi diventavano veleno.

    E in fondo la colpa qual era? La mitomania nella propria pagina fb. Poca cosa, per ritrovarsi contro un bulldozer d’odio. Ad un certo punto, poi, anche i post sono sembrati a tratti pretestuosi. Troppo lievi per essere tacciati di mitomania.

    Ormai un giornalista poteva finire sbeffeggiato anche solo per aver annunciato un suo corso di scrittura, come è capitato a Simonetta Sciandivasci. La sensazione, insomma, è che alla fine la pagina sia stata disintegrata dalla stessa materia da cui era composta: la mitomania.

    In fondo, molti degli stessi commentatori erano dei mitomani che non ce l’hanno fatta. L’imbarbarimento è nato da qui, dall’idea che l’influencer mitomane potesse essere sabotato dalla pagina sui mitomani.

    Alla fine, i commentatori livorosi gareggiavano sul piano dello stesso Tosa: lui alza l’asticella del buonismo facile, noi quello del cattivismo sofisticato, e intanto diventiamo influenti anche noi. Non era più chiaro se fossero infastiditi dai mitomani o dal consenso che raccoglievano alcuni mitomani.

    Una deriva che piano piano ha fatto disamorare anche i fan più accaniti della pagina. “Siamo convinti di aver lanciato un sasso nello stagno rispetto ai meccanismi autoreferenziali dei social, del giornalismo e anche della politica. Deformano la qualità delle relazioni umane, la natura e il ruolo fondamentale del giornalismo e la forza più profonda dei propri ideali”, ha dichiarato “il collettivo” di “Io professione mitomane”, spiegando l’addio.

    E a ben vedere sì, forse c’è un po’ di verità. Però diciamolo: questa frase sarebbe stato un bellissimo post di “Io professione mitomane”.  Perché prendersi sul serio è il primo gradino verso la mitomania, sempre.

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