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    Chi è Matteo Messina Denaro, il super latitante di Cosa Nostra arrestato a Palermo

    Di Marco Nepi
    Pubblicato il 16 Gen. 2023 alle 10:15 Aggiornato il 16 Gen. 2023 alle 10:18

    Per la sua corporatura veniva chiamato “U Siccu”, oppure “Diabolik”, per la sua capacità di restare nell’ombra, ma chi è Matteo Messina Denaro? Latitante dal 1993, nella lista dei più pericolosi del Viminale, è stato capo del mandamento di Castelvetrano – suo paese di nascita – e rappresentante di vertice della mafia nella provincia di Trapani. Insieme a Totò Riina e Bernardo Provenzano è stato uno dei boss più potenti di tutta Cosa nostra.

    A vent’anni divenne pupillo di “U curtu”, dopo l’arresto di quest’ultimo fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi, insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.

    Nel 1992 fece parte di un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani, che venne inviato a Roma per compiere appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli.

    Nel luglio di quello stesso anno Messina Denaro fu tra gli esecutori dell’omicidio di Vincenzo Milazzo, capo della cosca di Alcamo, che aveva cominciato a ribellarsi all’autorità di Riina. Soltanto alcuni giorni dopo strangolò a mani nude anche la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, che era incinta di tre mesi.

    Nel 1993 fu tra i mandanti del sequestro del dodicenne Giuseppe Di Matteo, nella speranza che il padre, l’ex mafioso Santino Di Matteo, evitasse di collaborare con gli inquirenti che stanno indagando sulla strage di Capaci.

    Dopo due anni giorni di prigionia, il piccolo fu strangolato e il suo cadavere venne sciolto nell’acido. Il 21 ottobre 2020 è stato riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo dalla Corte D’Assise di Caltanissetta per essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio, costate la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

    Dal 1993 pendeva sulla sua testa un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori.

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