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    Morte Camilla Canepa, i medici sapevano del vaccino AstraZeneca ma non lo scrissero nella cartella clinica

    Di Marco Nepi
    Pubblicato il 28 Gen. 2022 alle 13:48

    Morte Camilla Canepa, i medici sapevano del vaccino AstraZeneca ma non lo scrissero nella cartella clinica

    Il personale sanitario dell’ospedale di Lavagna sapeva che Camilla Canepa, la 18enne morta per una trombosi cerebrale dopo la vaccinazione, aveva ricevuto una dose del vaccino di AstraZeneca.  È quanto emerso dalle audizioni dei medici fatte dalla procura di Genova, che sta indagando sulla morte della ragazza di Sestri Levante avvenuta lo scorso 10 giugno, dopo essere stata dimessa una prima volta dall’ospedale di Lavagna.

    Il suo caso aveva riaperto il dibattito sui rischi legati ai vaccini a vettore adenovirale come quelli prodotti da AstraZeneca, associati in casi rari a trombosi, spingendo le autorità sanitarie a cambiare nuovamente le linee guida sul loro utilizzo.

    La 18enne si era recata al pronto soccorso dell’ospedale di Lavagna il 3 giugno, accusando un forte mal di testa e fotosensibilità, poco più di una settimana dopo aver ricevuto una dose del vaccino di AstraZeneca. Il 25 maggio aveva infatti partecipato a uno degli open day organizzati dalla regione Liguria e aperti anche ai più giovani, nonostante la raccomandazione delle autorità sanitarie di somministrare il vaccino a persone di età superiore a 60 anni. Secondo i genitori, al momento del primo accesso aveva comunicato di essere stata vaccinata. Dalle indagini era anche emerso come la studente avesse mandato un messaggio a un conoscente dicendo che la stavano trattenendo in ospedale “per il vaccino”. Tuttavia della vaccinazione non risultava traccia nella cartella clinica: un dettaglio cruciale in quanto già erano state pubblicate le prime linee guida per diagnosticare la sindrome nota come Trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino (Vitt), che prevedevano di procedere con una Tac con liquido di contrasto. La ragazza invece era stata dimessa il giorno successivo, dopo dopo essere stata sottoposta a una Tac senza l’impiego di liquido di contrasto, nonostante il livello delle piastrine  fosse in forte discesa.

    Una scelta che potrebbe non aver rispettato le linee guida diffuse dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa)  il 26 maggio scorso. In esse l’Aifa affermava che, in caso di sospetto di trombosi dei seni venosi cerebrali, è considerata “prima scelta” effettuare una “angio-Tac”, che consente di “studiare correttamente, con il mezzo di contrasto, i distretti venosi”.

    Poche ore dopo essere tornata a casa, il 5 giugno la 18enne è stata costretta a tornare al pronto soccorso, riportando deficit motori a una parte del corpo. Questa volta la Rac cerebrale ha rilevato un’emorragia, portando al trasferimento immediato al reparto di neurochirurgia del San Martino di Genova, dove è stata sottoposta a due interventi chirurgici. Nel secondo accesso all’ospedale di Lavagna la vaccinazione era stata indicata nella cartella clinica.

    A marzo l’Italia ha sospeso l’uso del vaccino di AstraZeneca assieme ad altri paesi europei, dopo che erano emersi casi di trombosi in alcune persone vaccinate. Il Cts ha successivamente consentito di somministrare il vaccino solamente alle persone di età superiore a 60 anni, dopo che l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha affermato che i benefici che derivano dal suo utilizzo superano i rischi associati a possibili effetti collaterali. All’inizio della campagna vaccinale, l’Italia aveva invece limitato l’uso del vaccino alle persone di età inferiore a 65 anni, in attesa di dati che confermassero l’efficacia del vaccino per le fasce di età più anziane.

    AstraZeneca è anche stata al centro di una disputa legale con l’Unione Europea per i ripetuti ritardi nelle consegne del vaccino, che hanno pesato in maniera significativa sull’andamento della fase iniziale della campagna vaccinale.

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