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    “Stiamo andando verso uno stato di Apartheid, anche a Firenze”: parla a TPI l’attivista senegalese Pape Diaw

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 15 Apr. 2019 alle 15:18 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:39

    “C’è un grande senso di smarrimento e vuoto da parte dei cittadini stranieri. C’è un razzismo istituzionale da denunciare, accompagnato da un razzismo di strada, con tanti episodi che si sono susseguiti in questi mesi: neri insultati, pestati. Questo ha spaventato tanti cittadini stranieri, non solo quelli appena arrivati, ma anche quelli che a Firenze vivono da 30-40 anni, che mi chiamano e dicono ‘Pape, cosa sta succedendo?'”.

    Pape Diaw vive a Firenze da 40 anni, viene dal Senegal, in Italia ha costruito la sua vita e a questo Paese si è dedicato in toto: per i diritti, per i cittadini, per la politica.

    L’Italia è il Paese che sente suo. Pape per anni è stato a capo della comunità senegalese di Firenze, oggi continua a essere un’attivista per i diritti degli stranieri. TPI lo incontra proprio a Firenze – città che si appresta ad affrontare le elezioni comunali – un anno dopo la terribile morte di Idy Diene, assassinato mentre camminava sul ponte Amerigo Vespucci a Firenze da Roberto Pirrone il 5 marzo 2018.

    Come si sentono oggi i cittadini stranieri a Firenze?

    Sentirsi straniero dopo aver vissuto 40 anni in un Paese è davvero deludente: questo è ciò che stanno vivendo i “vecchi” stranieri. I “nuovi”, invece, non hanno nemmeno una sinistra forte che possa difendere i loro diritti.

    A poco più di un anno dall’omicidio a sfondo razziale di Idy Diene, come si vive a Firenze?

    Da quella morte ho notato un peggioramento della città. Il ricordo di quei giorni per i fiorentini sono le fioriere distrutte. Hanno dimenticato che una persona innocente è stata ammazzata in modo così barbaro mentre lavorava. Ricordo gli attacchi che ho ricevuto su Facebook, cattivi e razzisti, anche da cittadini italiani.

    Lei usò parole dure dopo quell’omicidio. Si è pentito di averlo fatto?

    Era la seconda volta, ricordiamoci, che veniva ucciso un innocente solo per il colore della sua pelle. Sono stato in Senegal a portare due morti. Ne ammazzano un altro e dico: “facciamo festa”? Chi mi conosce sa che sono molto duro di carattere, io non torno indietro su quello che ho detto.

    Firenze è una città che sui diritti è tornata molto indietro, per me è anche un fallimento personale, perché vedo che qui non riconoscono la figura di una persona, tutto viene strumentalizzato a fini politici.

    Firenze è diventata razzista?

    Non penso che Firenze sia razzista, però esistono tanti razzisti in città. La situazione è andata peggiorando. Se senti il linguaggio fuori, vedi che la gente si è incattivita contro persone che non hanno fatto niente. Il motivo di tutto questo odio – fomentato da una campagna elettorale incessante – non lo conosco, ma penso che quello che vedo oggi c’era comunque, era un razzismo nascosto. Oggi non ci si vergogna più di essere razzisti. Siamo arrivati a questo. Quando parlano di Firenze come città di cultura, ma quale cultura se c’è il razzismo?

    E la cosa triste è che non c’è nessun piano contro il razzismo, dopo ben due omicidi.

    A Firenze è stato accolto il provvedimento “anti-degrado” che prevede 17 zone rosse in cui è vietato l’accesso ai cittadini sui quali pendono denunce per spaccio e altri reati. Lei cosa ne pensa?

    Viviamo un clima che sta peggiorando e questo ha portato un problema sociale che va affrontato con strumenti sociali. A Firenze si risolve tutto con la polizia. Vuol dire non avere una visione politica di una città. Buttare tutto sulla sicurezza creando queste aree non è una soluzione.

    Stiamo andando verso uno stato di Apartheid. Sappiamo bene che la maggior parte di queste zone sarà vietata ai cittadini stranieri. Ma non possiamo limitare la libertà personale delle persone finché non vengono condannate. Trovo quindi questi provvedimenti strumentali e anticostituzionali.

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