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    “Con le videochiamate assistite alle famiglie ridiamo il sorriso agli anziani barricati per il virus”

    Di Flavio Pagano
    Pubblicato il 17 Mar. 2020 alle 08:41 Aggiornato il 17 Mar. 2020 alle 09:37

    Lasciare da solo un vecchio, è come abbandonare un bambino. Il terremoto emotivo è uguale. E, quando sull’Italia si è abbattuta la calamità del Coronavirus, per il fragile e silenzioso esercito di anziani che vive nelle case di riposo, e non solo, è cominciato un periodo di autentico terrore. Fino a qualche tempo fa, prima dell’era dei cellulari e di internet, si era abituati a stare senza vedersi o sentirsi anche per giorni. Oggi invece mantenere vive le relazioni affettive non è soltanto un’esigenza legata alla qualità della vita, ma è parte integrante della cura che ogni assistito riceve in un istituto.

    Così, quando #staiacasa è diventata la parola d’ordine di tutti gli Italiani e le relazioni con l’esterno sono state vietate, ad Adelaide Biondaro – direttore dell’Istituto Assistenza Anziani di Verona, una delle più grandi e antiche RSA italiane – è venuta un’idea, prontamente condivisa con tante altre strutture: acquistare dei tablet e mettere a disposizione degli ospiti un servizio assistito di videochiamata per rivedere i propri cari.

    “In tempi non sospetti –  racconta la Biondaro – era il settembre del 2018, mi feci un selfie del tutto casuale con una delle nostre ospiti, e mandai la foto alla figlia. La sua reazione di gioia fu straordinaria e mi resi conto di come per ogni curacari, l’esigenza di essere rassicurati sia analoga a quella dei genitori che portano i figli all’asilo. E allora quando è esploso il COVID-19 ho deciso di acquistare dei tablet per tenere regolarmente in contatto fra loro, residenti e familiari: il successo è stato incredibile. Rivedersi, potersi rassicurare a vicenda, dopo giorni di distacco forzato, ha avuto un effetto dirompente. Dinanzi a certe scene io e tutto il personale ci siamo commossi. Il rifiorire del sorriso sul volto dei nostri assistiti, è stata un’emozione che non so descrivere. La speranza, naturalmente, è che presto le porte vengano riaperte, e che i nostri anziani possano anche riabbracciare i propri cari ma, purtroppo, dai colleghi lombardi non giungono buone notizie…”.

    Già. Impossibile non pensare a situazioni dolorose come la casa di riposo di Merlara, nel padovano, colpita in questi giorni dal virus, e di cui il direttore ha raccontato alle telecamere di Rai News, con gli occhi velati di orgogliose lacrime, la sofferenza dei canuti ospiti e l’eroismo di chi li assiste. In certi frangenti una videochiamata può essere l’ultima, e allora un semplice tablet diventa lo strumento di un inconsapevole e prezioso addio, che altrimenti non ci sarebbe stato. A parte il completamente isolamento che accompagna il malato in tutto il percorso di cura, e che è già di per sé fonte di enormi disagi, l’età degli ospiti delle RSA è determinante per l’esito finale: se il contagio varca le soglie di una residenza per anziani, può essere una strage.

    Sono prima di tutti i vecchi, infatti, quelli nel mirino della pandemia: quelli che Papa Francesco ha definito “la nostra saggezza e la nostra storia”, quelli che ora, dopo aver dato tutto, dopo una vita di lavoro, vengono messi in discussione in blocco, come categoria, dal grottesco pragmatismo di improvvisati fautori delle leggi di Darwin. Noi preferiamo una visione alternativa. Evangelicamente, gli anziani fanno parte degli ultimi. E il dovere della società è proteggerli, non disfarsene. Spesso si tratta di disabili (oltre 200, nella struttura diretta da Adelaide Biondaro, hanno l’alzheimer, malattia che soltanto in Italia interessa 1.200.000 persone), ma normalmente sono coinvolti da più patologie.

    Il nuovo ordine del droplet e di divieti dal sapore bellico come quello “di assembramento”, li ha sorpresi alla fine della vita, lontani dai luoghi dove sono vissuti. E, se vogliamo comprendere com’è la loro vita adesso, dobbiamo prima di tutto comprendere che sono parte di noi, come noi siamo parte di loro. E dobbiamo rifiutare la volgare e asettica sfacciataggine del linguaggio dei burocrati: i vecchi, altro non sono che i nostri genitori e i nostri nonni. Sono il marito, o la moglie, con cui per tanti anni, come recitano celebri versi “abbiamo affrontato il dolore / e la gioia di vivere / tenendoci per mano. / Mai abbiamo voluto stabilire / chi fosse a reggere l’altro / o a guidare”.

    Sono persone. Sono storie. Sono la Storia. Sono persone che all’improvviso la più grande catastrofe sociale degli ultimi cento anni ha isolati, e privati della cosa più importante: i loro affetti. I loro curacari. Trasformandoli in ninfee senza radici, alla deriva. “Per chi non è avvezzo alla frequentazione di una casa di riposo – spiega la Biondaro –  non è facile comprendere che all’interno di ogni singola struttura si sviluppa una sorta di mondo parallelo, fatto di regole e di relazioni che, fuori da quelle mura, non avrebbero senso. A parte le persone affette da grave demenza (che per noi sono le più affascinanti da curare) e che difficilmente si rendono conto del cambiamento di vita, molti anziani non accettano subito di vivere in casa di riposo”.

    “Ma, di solito, la diffidenza iniziale cede pian piano il posto alle sicurezze che un centro specializzato offre. Nascono rapporti nuovi, con gli altri residenti e con il personale, e si modificano anche quelli con i familiari. Per i figli, soprattutto, il carico emozionale è molto condizionato dal senso di colpa: come se affidare il proprio caro a un istituto fosse una resa, oltre che una necessità. Eppure ci sono dei figli che sono autentici eroi e arrivano all’opzione della struttura residenziale per la propria mamma o il proprio papà, quando non hanno davvero altra scelta. Anche per loro, col tempo, le cose cambiano e le tensioni iniziali si trasformano in emozioni positive. Per questo il colpo dell’epidemia è stato così duro: perché ha interrotto equilibri delicatissimi, faticosamente costruiti, nella vita di persone che non hanno altro”.

    Tutto questo non riguarda soltanto gli anziani che vivono negli istituti. Quelli relativamente in buona salute, che vivono completamente soli, sono ora nelle mani dei volontari e dei propri curacari. E tuttavia sprofondano in una solitudine anche maggiore, e in un perenne, alienante stato di ansia. Quasi nessun comune ha predisposto dei servizi per le persone rimaste isolate: ciò che sarebbe invece quanto mai opportuno. I tempi migliori torneranno. Ma, se volete fare una chiamata, fatela ora: perché gli anziani vivono di presente. Col vezzo di qualche passeggiata nel passato…

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