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    “Il sogno europeo di Antonio Megalizzi non svanirà mai: io porto avanti il suo messaggio d’amore”

    Antonio Megalizzi nell'illustrazione di Emanuele Fucecchi

    Sono passati due anni da quel maledetto 11 dicembre 2018, quando Antonio Megalizzi venne colpito a morte da Cherif Chekatt, il giovane killer dell’attentato di Strasburgo. La testimonianza della fidanzata Luana a TPI: "Con la Fondazione che porta il suo nome vogliamo dare opportunità a tanti ragazzi e ragazze come lui"

    Di Francesca Candioli
    Pubblicato il 11 Dic. 2020 alle 08:40 Aggiornato il 11 Dic. 2020 alle 11:51

    Era l’11 dicembre 2018, ore 19.45, mercatini di Natale di Strasburgo. Sono passati due anni da quando il reporter Antonio Megalizzi, 29 anni, assieme al suo collega polacco Bartek Niedzielski, fu colpito a morte da Cherif Chekatt, il giovane killer dell’attentato di Strasburgo, in cui persero la vita cinque persone e ne furono ferite altre 11. Antonio, calabrese d’origine, ma trentino di fatto, in quei giorni si trovava in città per seguire le attività dell’assemblea plenaria dell’Europarlamento. Era lì per Europhonica, il primo format radiofonico internazionale che racconta l’Europa e dà voce ad oltre 90 radio universitarie sparse tra Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Germania e Grecia.

    Antonio ne era il coordinatore per l’Italia, ma già da tempo si occupava di Unione Europea, cercando un modo per narrarla, soprattutto ai giovani. Voleva fare il giornalista, a tempo pieno, e stava cercando di capire come ottenere il tesserino, assegnatogli poi postumo. Antonio, però, “il sacro fuoco” per questo mestiere ce lo aveva già dentro. “Antonio faceva già parte della nostra tribù – scriveva Lara Lago, giornalista per La Voce di New York, a pochi giorni dall’attentato -, una generazione di giovani giornalisti disillusi, e per questo più tenaci, che non ha paura di nulla: sanno solo di avere una missione ben chiara in testa, e se il sogno di fare il corrispondente estero è impalpabile come zucchero a velo sul pandoro, sanno anche che nulla è più dolce di una carriera che ti costruisci da solo, sulle tue gambe, fino in fondo”.

    A ricordare l’11 dicembre di due anni fa è Luana Moresco, la fidanzata di Antonio, che TPI ha intervistato. Luana quella sera aveva acceso la tv e aveva subito capito che era successo qualcosa. Una volta appresa la notizia dell’attentato, aveva provato a chiamare il fidanzato, ma nulla. Così aveva poi tentato di mettersi in contatto con una sua collega, che era con Antonio durante la sparatoria. Lei era riuscita a rispondere, dicendo che era sotto choc e barricata in un bar con un’altra amica. Nessuno sapeva dove fosse finito, ma poi verso le 23.30 la Farnesina comunica alla famiglia che il ragazzo è in ospedale. Da qui la decisione di partire subito alla volta di Strasburgo: è notte fonda a Trento, Luana si mette in macchina con la famiglia Megalizzi e raggiunge la città francese.

    Qui rimarrà fino all’ultimo, stando vicino ad Antonio e traducendo le informazioni che i medici davano alla famiglia. Per i successivi tre giorni, tutta Trento e Rovereto, le due città dove il reporter viveva e lavorava, rimangono con il fiato sospeso. Poi, la notizia della morte: Antonio non c’è più. Per tutta l’Italia muore un ragazzo, simbolo del sogno europeo, mentre per Luana muore il suo amore, per la famiglia un figlio e un fratello. Poi, ancora, il momento del rientro della salma del reporter all’aeroporto di Ciampino: sulla pista d’atterraggio ad aspettarlo ci sono il papà Domenico, il presidente Sergio Mattarella e Luana.

    Il suo corpo è avvolto nella bandiera italiana. Per Luana, che oggi è consulente della pubblica amministrazione per l’Agenzia nazionale per i giovani con la società di Ernst & Young, inizia un periodo di grande sofferenza che mai avrebbe immaginato, durante il quale riesce però a far nascere la Fondazione Antonio Megalizzi.

    Luana, come sei riuscita a trasformare il dolore in una molla per portare avanti i valori che condividevi con Antonio?
    È una domanda che mi fanno in tanti, forse quando provi così tanta sofferenza non c’è spazio per l’odio. Gli attimi della sera dell’11 dicembre ti rimangono impressi come una cicatrice che ti porterai sempre dentro, un tatuaggio indelebile fatto di secondi, di sensazioni e speranze. Non sono cose che si possono dimenticare. Giorno per giorno si impara a convivere con il dolore, a cercare di trovare la forza nei ricordi, e l’unica cosa che vuoi è ridare giustizia alla persona che ami, e amarla ancora.

    Come è nata l’idea di creare una Fondazione per Antonio?
    L’idea è nata già a gennaio 2019. Quando qualcosa di così brutto accade ti trovi davanti ad una scelta: chiudersi nel dolore, e non c’è nulla di male perché non ci sono reazioni giuste o sbagliate, oppure la volontà e la necessità di agire sul dolore e farne qualcosa di positivo. Inizialmente per noi è stato un atto di amore: aver cura di Antonio era creare qualcosa che potesse portare avanti il suo messaggio. Poi è diventato qualcosa di più: non solo amare Antonio attraverso la Fondazione, ma dare nuove opportunità a tanti ragazzi e ragazze. La Fondazione non è solo per Antonio, ma per tutti, specialmente per i giovani. È una Fondazione fatta di persone.

    Quali progetti avete in mente per il futuro?
    La Fondazione, aperta il 3 dicembre 2019, è stata inaugurata ufficialmente lo scorso 14 febbraio. Nonostante l’emergenza sanitaria in corso, ci siamo attivati da subito sul sito e sui social media per fare ordine tra le informazioni, promuovendo la buona informazione, realizzando grafiche e strumenti per contrastare le fake news. Non solo, abbiamo partecipato a webinar e seminari online per confrontarci su tematiche come la comunicazione, il giornalismo e le politiche europee. In particolare, in questo periodo stiamo lavorando ora al nostro progetto principale: “Ambasciatori della Fondazione Antonio Megalizzi”.

    In che cosa consiste?
    Il progetto si propone di selezionare, tramite una call nei primi mesi del 2021, trenta studenti universitari che seguiranno un percorso di formazione: dalla storia al funzionamento delle istituzioni europee, dall’impatto dell’Unione europea nelle nostre vite all’analisi di fatti di attualità, dall’identificazione di buone pratiche giornalistiche ad approfondimenti sul mondo della comunicazione. Gli ambasciatori riceveranno così gli strumenti per organizzare attività a nome della Fondazione nelle scuole, ma anche in altre realtà educative, per accrescere la consapevolezza su tematiche di pubblica utilità e incentivare la partecipazione attiva.

    Sia te che Antonio credevate nel sogno europeo, che cosa ne è rimasto oggi?
    Il sogno europeo non è qualcosa che svanisce o che ti possono portare via. Vive nel lavoro della Fondazione, nel percepire l’Unione Europea come casa, nella consapevolezza che l’Ue sia la nostra quotidianità. Certo, ci rendiamo conto che ci sono tante cose che potrebbero essere migliorate, ma credere nel sogno europeo significa anche voler contribuire al miglioramento delle istituzioni e delle politiche europee, nella consapevolezza che un’Ue forte e democratica rappresenta ancora il nostro miglior futuro.

    Che tipo di giornalista era Antonio?
    Antonio diceva sempre: “My job is better than your vacation” (Il mio lavoro è meglio della tua vacanza), perché amava davvero fare questo lavoro. Gli piaceva parlare con la gente, confrontarsi, ma anche informarsi e approfondire diverse tematiche. Era una persona molto curiosa. Approfondiva così bene le tematiche, che riusciva a scherzarci sopra. Invitava i suoi colleghi e le sue colleghe di Europhonica ad improvvisare, ma la sua era un’improvvisazione preparata.

    Un consiglio per i giovani giornalisti di oggi?
    Quelli di base: verificare le fonti, essere rigorosi e attenti, approfondire. Non cercare lo scoop veloce e impreciso. Sentirsi sempre responsabili di ciò che si racconta e della categoria che si rappresenta. E poi essere se stessi, portare se stessi dentro le cose. Antonio parlava di Brexit, di bufale, e di tanto altro, ma riusciva sempre a farlo con il suo sguardo.

    Cherif Chekatt, l’attentatore di Strasburgo, aveva la stessa età di Antonio. In carcere si è radicalizzato ed è diventato un sostenitore dell’Isis. Hai mai pensato al perché di questo gesto?
    Quando c’è stato il famoso attentato al Bataclan di Parigi, mi ricordo che Antonio era rimasto sveglio tutta la notte a commentare l’accaduto, che a lui e a tutti i suoi colleghi di Europhonica appariva come un evento storico di portata enorme. Su Cherif Chekatt, ovviamente mi sono domandata cosa sarebbe potuto essere diverso nel suo percorso di crescita, quali eventi hanno determinato le sue scelte di vita. La risposta non è mai semplice, ma voglio vivere la mia vita cercando sempre di portare avanti l’integrazione, cercando di fare la mia piccola parte per mostrare gentilezza e rispetto delle differenze. Non so se questo avrà mai un impatto sulla vita delle persone, né tanto meno se lo avrà su persone che potrebbero seguire un percorso come quello di questo ragazzo, ma è qualcosa che posso attivamente fare: è un piccolo apporto che posso portare.

    Antonio viveva di radio. Com’era il suo rapporto con questa fantastica ossessione?
    Antonio amava la radio. Diceva che gli piaceva perché c’era un rapporto più intimo con gli ascoltatori. La radio è intima ma unisce. È distante ma avvicina. È leggera, così leggera che si sente ovunque, ma non si vede. È leggera nella sua presenza, nel linguaggio. E Antonio era così: sapeva essere leggero nel linguaggio, non appesantiva i suoi interventi di parole superflue. Dava molta importanza alle parole e le sceglieva con cura.

    In occasione dell’anniversario della morte di Antonio Megalizzi, RadUni, l’associazione degli operatori radiofonici universitari, e Europhonica, hanno organizzato la maratona “Non fermiamo questa voce”. Per 24 ore saranno trasmessi i lavori, le dirette e le riflessioni di Antonio su tutte le emittenti del circuito RadUni, con lo scopo di raccontare le attività del Parlamento europeo ed approfondire temi di attualità politica, economica e culturale attraverso la voce di un reporter che non c’è più. Si potranno ascoltare anche contenuti su argomenti cari ad Antonio, oltre al racconto ‘’Cielo d’Acciaio’’, il testo scritto da Megalizzi, registrato nel 2019 dai suoi colleghi della redazione italiana di Europhonica. Inoltre il 14 dicembre 2020, il Comune di Trento proietterà sulla Torre Civica in piazza Duomo l’immagine di Antonio realizzata da Mauro Biani. La Fondazione, lo stesso giorno, inviterà gli utenti su Twitter e Instagram a pubblicare un’immagine, un ricordo o un pensiero su Antonio con l’hashtag #antonioperme per poter condividere insieme la giornata.

    Leggi anche: 1. Chi era Antonio Megalizzi, il giornalista italiano rimasto ucciso nell’attentato di Strasburgo / 2. Io sono Europa. Il sogno di Antonio Megalizzi per salvare il cuore dell’Unione

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