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    Sei anni fa la strage di Lampedusa: “I miei figli sopravvissuti sono tornati sull’isola per non dimenticare”

    L'arrivo di uno dei due superstiti del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, Lampedusa, 2 ottobre 2019. ANSA/ PASQUALE CLAUDIO MONTANA LAMPO

    Il 3 ottobre 2013, al largo di Lampedusa, un barcone si rovescia e affonda: muoiono 368 migranti in quello che è considerato uno dei peggiori naufragi del Mediterraneo. Oggi, Giornata della memoria e dell'accoglienza, Lampedusa ricorda tutte le vittime delle migrazioni.

    Di Marta Facchini
    Pubblicato il 3 Ott. 2019 alle 00:01 Aggiornato il 3 Ott. 2019 alle 08:28

    Oggi l’anniversario della strage del 3 ottobre 2013 a Lampedusa. I superstiti sull’isola per non dimenticare le vittime di ogni naufragio

    Lillo e Piera ricordano tutti i nomi di chi negli anni ha bussato alla porta della loro casa, a Lampedusa. Il primo è stato Mohamed: nel 2011 era scappato da solo dalla Tunisia e ha suonato il campanello per cercare un paio di scarpe. Ogni domenica ha trovato un pasto e compagnia. “La primavera araba ci ha fatto capire cosa significava fuggire dalle guerre e dalla povertà. Sull’isola tutti ci siamo rimboccati le maniche per accogliere chi ne aveva bisogno”, ricorda a TPI Bartolomeo Maggiore, che lavora come assistente amministrativo nell’istituto comprensivo Luigi Pirandello. Sua moglie, Piera Macaluso, è ispettrice della polizia municipale. Da quel momento, i due hanno aiutato come potevano i migranti arrivati sull’isola e la famiglia si è allargata. 

    “Il 3 ottobre 2013 è stato una tragedia. Non riesco a dimenticare i corpi chiusi nei sacchi neri sul pontile. Non sono riuscito a sopportare quell’immagine”, racconta Maggiore. È appena arrivato in ufficio, quando legge la notizia del barcone affondato al largo dell’Isola dei Conigli. Le vittime sono almeno 368 in quello che è considerato uno dei più gravi naufragi nella storia del Mediterraneo.

    Tornando a casa incontra Alex, uno dei sopravvissuti. “In strada ho visto un ragazzo che piangeva e l’ho invitato a prendere un caffè. Non potevo immaginare cosa avesse appena passato. L’ho portato da me a mangiare e a fare una doccia. Mia moglie ha preparato un the caldo”, prosegue. “Il giorno dopo, Alex è tornato da noi insieme a Tami, un suo amico”.

    Alex e Tami sono sopravvissuti alla lunga notte in cui il barcone, partito dal porto libico di Misurata, si è rovesciato a 800 metri dell’Isola dei Conigli, la striscia di terra separata da Lampedusa. A bordo della nave ci sono tra le 520 e 555 persone. I superstiti sono 155 anche se qualcuno sostiene che ci sono una ventina di dispersi. Secondo quanto emerge dalle prime ricostruzioni, la causa del naufragio è un incendio scoppiato nella stiva quando l’imbarcazione è ancora ferma in attesa dei soccorsi. Le fiamme scatenano il panico a bordo e spingono tutti i passeggeri da un lato, causando il rovesciamento dell’imbarcazione. Centinaia di vittime muoiono in mare, dove si riversano i litri di nafta presenti nella stiva. Molti migranti muoiono intossicati e molti affogano. 

    “Da quando li abbiamo conosciuti, sono diventati parte della famiglia. Sono nostri figli ed è stato doloroso vederli andare via”, aggiunge Maggiore. Alex vive in Olanda: ha ottenuto il diploma, lavora in un’officina di biciclette e ha due figli. Tami vive in Norvegia, dove studia e lavora. E nella famiglia si è aggiunto anche Seidou, adottato. Era arrivato in Sicilia su un barcone il 4 gennaio del 2014, dopo un viaggio nel deserto partito da un villaggio del Senegal. Ora si è diplomato e lavora.

    “Alex e Tami hanno realizzato i loro sogni e, come padre, non posso che esserne felice. Sono venuti entrambi a Lampedusa per ricordare chi non c’è più. Nella traversata, Alex aveva perso il suo migliore amico e sono tante le famiglie che non hanno avuto nemmeno un corpo da piangere”.

    Oggi, Giornata internazionale della memoria e dell’accoglienza, i sopravvissuti alla tragedia incontrano gli oltre duecento studenti arrivati sull’isola da tutta Europa per parlare di migrazioni, diritti e integrazione. “Partecipo anche io alla marcia verso la Porta d’Europa. La memoria è un atto doveroso. Ed è bello vedere qui tutti questi giovani. Mi ridà fiducia in un’Europa che può essere diversa da quello che è diventata. Accogliente e aperta”.

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