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    L’incredibile storia di Ahmed, che ha 32 anni ma ha già vissuto 5 vite: dalle torture in Darfur alla laurea in Italia

    Ahmed Musa. Credit: Facebook

    "I miei genitori mi hanno insegnato che, se studi, puoi cambiare la tua vita e quella degli altri"

    Di Lorenzo Tosa
    Pubblicato il 6 Set. 2019 alle 13:38 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:20

    Ahmed, dalle torture in Darfur alla laurea in Italia

    Lui si chiama Ahmed, e a 32 anni ha vissuto cinque vite. Cento delle nostre. La prima è cominciata a Entkena, in Sudan, dove è nato nel 1987, quarto di sette fratelli. Un’infanzia vissuta in povertà assoluta, lo studio come unica strada per evitare di imbracciare una mitragliatrice. Ahmed si è trasferito nella capitale Karthoum, dove si è laureato in Economia, insegnava e si è pure sposato.

    La seconda vita è iniziata il giorno in cui i miliziani filogovernativi hanno espugnato la sua città. È stato rinchiuso in un carcere nel Darfur, insieme a tutta la sua famiglia, privato della nazionalità, di ogni diritto civile o umano, è stato torturato, ha visto morire davanti agli occhi il padre e i sei fratelli. Si è salvato perché i miliziani lo credevano morto, abbandonato in un campo in mezzo al nulla, dove alcuni contadini lo hanno trovato e soccorso.

    La terza è quella della fuga verso l’ignoto, senza lo straccio di un documento in mano. Prima tre anni in Libia, poi la caduta di Gheddafi nel 2011 e il viaggio, disperato, su un barcone verso l’Europa. In quel momento, dopo tutto quello che hai visto, il confine tra vivere e morire è sottile come il canotto su cui navighi. La traversata dura una settimana. Metà dei suoi compagni muore affogata o di stenti. Ahmed fa in tempo a vedere le coste di Lampedusa. Festeggia, Ahmed. Ma non ha idea di cosa lo aspetta.

    La quarta riparte da un hotel, in Calabria. Quando il progetto di accoglienza di cui fa parte cessa di colpo, Ahmed si ritrova per strada, e poi a Torino, a dormire di notte al freddo sulle panchine delle stazioni, e infine a Bologna, alla “Casa gialla”, in venti ammassati in pochi metri, cercando di studiare come può, quando riesce. Subisce persino un’aggressione razzista. “Negro di m****” gli dicono, e forse non lo sanno quello che Ahmed ha vissuto per essere lì, le notti passate a studiare, i turni come cameriere, come commesso al Mc Donald’s, da addetto alle pulizie allo stadio, per potersi pagare l’università.

    La vita di Ahmed, la quinta, è ricominciata ieri, a Torino, dove si è laureato dottore magistrale in Scienze Internazionali con una tesi sui diritti umani in Darfur, la regione da dove viene e dove ha perso tutto. Sul frontespizio c’è una dedica. “A Nelson Mandela”: il figlio che ha avuto pochi mesi fa dalla moglie, rifugiata anche lei, ma in Norvegia. Perché la vita, nonostante tutto, va sempre avanti. Deve andare avanti, contro ogni evidenza.

    “I miei genitori mi hanno insegnato che, se studi, puoi cambiare la tua vita e quella degli altri”, ha raccontato Ahmed. “Con lo studio ho voluto dimostrare che nessuno può distruggere la volontà di un’altra persona. Nessuno”. Congratulazioni, dottore. Buona vita, qualunque sarà la prossima.

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