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L’inquietante sfida di TikTok: imitare i deportati ebrei nei lager nazisti

TikTok
Di Clarissa Valia
Pubblicato il 16 Set. 2020 alle 13:04

#olocausto, l’ultima sfida di TikTok: imitare i deportati ebrei nei lager

L’ultimo trend su TikTok è talmente inquietante che lascia senza parole. Nella nuova sfida video del popolare social network, l’utente imita i deportati ebrei nei lager nazisti. I filmati sono accompagnati dall’hashtag #shoah oppure #holocaust. In Italia #olocausto. Così milioni di giovani vestono pigiami a righe, si applicano la stella di David sul petto e si disegnano occhiaie e lividi su un volto segnato dal dolore e dalla magrezza. Gli utenti, tutti scarmigliati, iniziano a recitare la parte del deportato ebreo: “Un giorno portarono me e la mia famiglia in un posto strano. Iniziarono a darci delle divise. Eravamo costretti a lavorare e ci davano poco cibo. Un giorno ci costrinsero ad entrare in una doccia e…”, è il testo che appare nel video di TikTok.

Il macabro gioco è tutt’altro che marginale: 18,2 milioni è il numero di visualizzazioni dell’hashtag #holocaust, 100mila views per la versione italiana #olocausto mentre #shoah è stato visualizzato 780mila volte. Il museo di Auschwitz ha duramente criticato il nuovo trend di TikTok definendolo “doloroso e offensivo” per la memoria delle vittime della Shoah.

 

La sfida segue la moda del #POV vale a dire il Point Of View, in cui chi guarda è come lo spettatore di una performance. TikTok ha già preso dei provvedimenti disattivando l’hashtag #HolocaustChalleng dichiarando di aderire al Codice di Condotta della Commissione Europea contro l’incitamento all’odio online.

“Ho guardato moltissimi video che ridicolizzano l’Olocausto. Stupisce che molti di questi ragazzi siano giovanissimi. Usano la propria creatività per mettersi in vetrina ed esibire la tragedia umana. Gli psicanalisti concordano: ormai i giovani per colpire e attirare l’attenzione su di sé fanno cose sempre più dissacranti. La linguaccia o il seno che si vedono fanno parte del già visto. E allora? Alzano il livello di provocazione. Basti pensare che abbiamo perfino trovato dei video in cui c’era chi fingeva di essere stato violentato in un campo di concentramento”, spiega Betti Guetta dell’Osservatorio Antisemitismo del CDEC in un’intervista all’HuffPost.

La dottoranda Chloé Meley, in un articolo su Incite Journal, parla di “Trauma porn”, dice ancora Betti Guetta all’HuffPost. Lo definisce come “il fascino perverso per la sfortuna di altre persone; un fenomeno che è diventato pervasivo in un’era digitale in cui il dolore è mercificato e le rappresentazioni sconvolgenti di esso private del loro impatto emotivo”. “Lo trovo aberrante, è una di quelle cosa che non avrei immaginato potessero accadere. Non so a cosa si possa ricondurre. Non si tratta di ignoranza, incapacità di capire, di condannare, quanto piuttosto incapacità di avere uno sguardo etico”, commenta invece Anna Foa, storica e autrice del libro “Portico d’Ottavia 13″ per Laterza. “C’è come una volontà di buttarsi nel male e di sperimentarlo. Vedo un disperato bisogno di portare la violenza su di sé. Che non rivela soltanto l’incapacità di capire cosa è stato, perché allora basterebbe spiegare, studiare, insegnare. Qui siamo di fronte a qualcosa che rivela una forma di malattia mentale collettiva”, dice all’Huffpost.

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