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    “L’Italia ha la memoria corta, si dimentica presto delle catastrofi e non sa prevenire i rischi”: parla a TPI il geologo Mazzanti

    Di Laura Melissari
    Pubblicato il 15 Nov. 2019 alle 17:25

    Terremoti, alluvioni, eruzioni, frane, inondazioni, acqua alta. L’Italia, da nord a sud, al mare e in montagna, ad alta o a bassa quota, è soggetta a una grande varietà di rischi naturali. Ogni volta che una catastrofe naturale si verifica, in particolare quando ci sono vittime, si fa la conta dei morti e dei danni, si piange, si convocano consigli dei ministri urgenti e si nominano commissari straordinari. E soprattutto si dà la colpa alla natura, minimizzando il fattore umano e la cattiva gestione dei fenomeni. Ma poi l’emergenza passa, e tutto ritorna come prima, nell’incuria e nelle soluzioni tampone a breve termine.

    “In Italia siamo molto esposti ai rischi naturali, di questo ne dobbiamo prendere atto. Abbiamo una varietà di processi naturali, dalle frane, alle alluvioni, ai terremoti, ai vulcani, all’erosione costiera, alle valanghe, o a casi particolari come le maree di Venezia, che la rendono d’altro canto unica al mondo. Ne abbiamo un po’ per tutti i gusti e quindi la pianificazione e la cura del territorio è sicuramente importante”, spiega a TPI Paolo Mazzanti, geologo e professore di Telerilevamento presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Roma “Sapienza” e Amministratore Delegato di NHAZCA, spin-off della “Sapienza”.

    Il recente record dell’acqua alta a Venezia, a cui TPI ha dedicato numerosi articoli, ha fatto tornare alla ribalta il tema della gestione e della prevenzione delle emergenze. Come si fa ad evitare di arrivare a un punto di non ritorno? Come si può gestire il rischio? Uno dei grandi problemi del nostro paese è che appena i riflettori vengono spenti ci si dimentica delle tragedie, e si continua a rimandare una pianificazione adeguata.

    “Siamo un popolo profondamente emotivo. Dopo le catastrofi siamo tutti molto reattivi, emotivamente coinvolti e pronti a far qualcosa, ma in tempo di “pace”, dopo l’emergenza ci vuole pochissimo a ritornare a “vivere alla giornata”. E questo avviene non solo a livello politico, ma è una questione culturale generale: si reagisce alle emozioni ma si pensa poco a curare il nostro territorio, finanche la nostra stessa casa. Ad esempio accade spesso che anche nelle zone ad alta pericolosità sismica si facciano ristrutturazioni con sola valenza estetica senza badare alla sicurezza e alla stabilità strutturale. Abbiamo la memoria un po’ corta, ci dimentichiamo facilmente le emergenze quando finiscono”, dice ancora Mazzanti.

    L’Italia ha difficoltà nel fare opere per tanti motivi, un po’ culturali e un po’ procedurali che spesso portano a essere ingessati e limitati nel fare opere anche quelle opere che potrebbero proteggerci dai rischi naturali. Eppure, secondo Mazzanti, quello su cui potrebbe puntare in Italia è la competenza, la conoscenza e la scienza. “Avendo avuto da sempre la possibilità di “esercitarci” con grandi rischi naturali connessi al nostro territorio complesso, abbiamo sviluppato come comunità scientifica competenze tecniche molto elevate e tecnologie all’avanguardia anche a livello internazionale. Tuttavia, la ricerca oggi non è considerata un elemento trainante per il paese, quanto invece potrebbe essere, anzi viene spesso sacrificata per altre cose ritenute più importanti. Investire in ricerca per elaborare modelli evolutivi dei processi naturali porterebbe a sviluppare migliori capacità previsionali”, spiega il geologo.

    E quando si parla di prevenzione, sarebbe opportuno fare informazione diffusa a livello sociale, per essere consapevoli fin da bambini che nel nostro paese ci sono tanti pericoli naturali, che quando interagiscono con l’uomo diventano rischio.

    “Sarebbe importante usare le tecnologie che abbiamo oggi, nate grazie alla ricerca e agli investimenti degli ultimi decenni, e che oggi non vengono utilizzate o, comunque, vengono adottate con tempi di gestazione troppo lunghi tanto da farle diventare già vecchie. D’altro canto l’Università e i centri di ricerca dovrebbero ricevere degli investimenti di gran lunga maggiori, per mettere in moto un motore capace di portare a innovazione tecnologica e strumentale. Oggi in campo meteorologico la previsione dei processi deriva da un monitoraggio e un’acquisizione di dati che vengono da strumenti molto precisi, come ad esempio i radar. Le stesse cose si possono fare anche per i vulcani o per le frane, e in questo l’Italia è all’avanguardia a livello mondiale, tanto da esportare le proprie tecnologie negli Stati Uniti. In Italia però c’è sempre difficoltà nel far adottare tecnologie nuove per la scarsa sensibilità nei decisori”, continua Mazzanti.

    In sostanza, monitoraggio e modelli previsionali che si basano sui dati di monitoraggio sono un po’ le due chiavi che su tanti fenomeni naturali potrebbero rappresentare la soluzione, secondo il geologo della Sapienza. L’Istat, insieme a Casa Italia e al Dipartimento della Presidenza del Consiglio, ha reso disponibile una mappa dei rischi naturali in Italia, per avere una visione di insieme sull’esposizione a terremoti, eruzioni vulcaniche, frane e alluvioni, attraverso l’integrazione di dati provenienti da varie fonti.

    Dal punto di vista sismico abbiamo problemi evidenti, in Italia ci sono almeno 20 terremoti importanti al secolo, circa uno ogni 5 anni. “Se da un lato è vero che la l’energia rilasciata non è paragonabile a quella dei terremoti che avvengono in Cile, in Giappone o in California, dall’altro è anche vero che in Italia c’è un patrimonio architettonico, che poi è anche la sua bellezza, che affonda le radici in tempi molto lontani e che è stato costruiti con criteri che non sono più adeguati. Questo rappresenta “il bello” ma anche “il pericoloso” del nostro paese, sul piano del rischio sismico. Su questo piano avremmo la possibilità (pur con investimenti importanti in parti già facilitati da piani nazionali come il sisma bonus) per intervenire e ridurre il rischio”, continua Mazzanti.

    “L’altro grande pericolo sono i vulcani: la nostra generazione fortunatamente non ha assistito a eruzioni catastrofiche per esempio del Vesuvio o dei Campi Flegrei, che si trovano in aree densamente popolate con oltre un milione di persone a rischio. Tuttavia, ad oggi, la capacità di studiare e prevedere fenomeni vulcanici è migliore che in altri processi. Uno dei problemi più complicati, invece, perché distribuito in tutta Italia e con una frequenza di accadimento molto elevata, è quello delle frane. In questo ambito, le tecniche che di monitoraggio satellitare che sono in grado di fornire dati distribuiti in tutto il territorio nazionale, rappresentare probabilmente la vera soluzione”, conclude il geologo.

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