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    Clima, la causa del secolo contro lo Stato italiano finisce in un nulla di fatto: “Il tribunale decide di non decidere”

    Credit: Pixabay
    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 6 Mar. 2024 alle 11:51 Aggiornato il 6 Mar. 2024 alle 11:56

    Si è chiuso con un nulla di fatto il primo grado del processo Giudizio Universale, che vedeva lo Stato italiano accusato di inazione climatica da 203 tra associazioni e persone fisiche.

    Il Tribunale civile di Roma ha dichiarato il contenzioso inammissibile per difetto di giurisdizione, senza quindi entrare nel merito della questione.

    Con la causa, avviata nel 2021, i ricorrenti chiedevano di “riconoscere che l’insufficienza delle politiche climatiche in campo minaccia il godimento dei diritti fondamentali e, di conseguenza, di imporre allo Stato di rivedere al rialzo gli obiettivi di riduzione delle emissioni”.

    Nella sentenza, emanata lo scorso 26 febbraio, si afferma in sostanza che il tribunale non ha competenza per esprimersi. “Ha deciso di non decidere”, sintetizzano dall’associazione A Sud, tra le organizzazioni promotrici della causa

    Marica Di Pierri, portavoce dell’associazione, parla di “occasione persa per il Paese”. “La volontà di non esprimersi del Tribunale di Roma – dice – non comporta che non ci siano i presupposti per una condanna dello Stato. Secondo il Tribunale, nessun giudice italiano può tutelare i diritti fondamentali minacciati dall’inefficienza delle politiche climatiche dello Stato, come avvenuto invece in molti Paesi europei. È una scelta di retroguardia”.

    Secondo il team legale che ha seguito la causa, composto da avvocati e giuristi appartenenti alla Rete Legalità per il Clima, la sentenza “si pone palesemente in contrasto con la Carta dei Diritti fondamentali dell’Ue e con la Cedu, strumenti di tutela che non contemplano limiti di accesso al giudice nelle questioni climatiche, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di numerosi Stati europei”.

    Non solo: per gli avvocati la pronuncia “è anche contraddittoria, perché, da un lato, riconosce la gravità e urgenza letale dell’emergenza climatica, dall’ altro, però, statuisce che in Italia non esisterebbe la possibilità di rivolgersi a un giudice per ottenere tutela preventiva contro questa situazione, nonostante siffatta tutela sia stata riconosciuta dalla Corte costituzionale. Pertanto, sussistono tutti i presupposti per impugnarla”.

    I promotori del procedimento contro lo Stato italiano sottolineano come in alcuni casi all’estero – dai Paesi Bassi all’Irlanda all’Germania – cause analoghe si sono concluse con importanti sentenze di accoglimento.

    Marjan Minnesma, direttrice di Urgenda, la fondazione olandese protagonista del celebre caso che ha portato alla storica condanna del governo dei Paesi Bassi, osserva che “c’è un divario crescente tra le promesse dei nostri governi e le azioni che intraprendono nell’affrontare l’emergenza climatica”.

    “La sentenza Urgenda nei Paesi Bassi – sottolinea Minnesma  – ha dimostrato che i tribunali hanno un ruolo cruciale nell’esaminare se i governi stiano facendo abbastanza per ridurre le emissioni di gas serra e quindi salvaguardare i diritti fondamentali dei loro cittadini”.

    “Numerosi tribunali in tutto il mondo – dice – hanno seguito questo precedente, rafforzando così le politiche climatiche e la tutela dei diritti umani nei loro Paesi. Mentre gli impatti climatici estremi continuano a devastare tutti i continenti, i tribunali italiani non dovrebbero sottrarsi al loro dovere costituzionale: dovrebbero seguire le orme di quei tribunali che già hanno indicato la strada, assicurando che i governi rispettino i loro obblighi giuridici e mantengano gli impegni presi per affrontare l’emergenza climatica”.

    Tra i promotori della causa italiana Giudizio Universale c’è il climatologo e divulgatore Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana: “Che l’Italia non stia facendo abbastanza per ridurre le emissioni è sotto gli occhi di tutti; che la politica non ascolta la scienza né i cittadini anche”, commenta.

    “In molti Paesi i tribunali hanno fatto la differenza, peccato che in Italia si sia persa questa importante occasione e tempo prezioso. Però l’emergenza climatica non aspetta e si manifesta con particolare severità proprio sul Mediterraneo: di certo l’impegno della società civile non si ferma qui, sia dentro che fuori le aule di giustizia”.

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