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Google e Facebook sanno se stai guardando i siti porno (anche se navighi in incognito)

Di Giovanni Macchi
Pubblicato il 22 Lug. 2019 alle 12:03 Aggiornato il 22 Lug. 2019 alle 12:09

Google e Facebook sanno se guardi un sito porno: lo studio di New media & society

Quando visiti un sito porno e quando scegli il film per adulti che vorresti vedere. A rivelarlo è un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica New media & society, che ha analizzato le modalità di tracciamento usate sui siti a luci rosse, anche quando si naviga in incognito.

Gli autori dello studio hanno esaminato 22.484 siti per adulti e hanno rivelato che il 93 percento di loro divulga informazioni a terzi. In particolare, le informazioni sono divulgate a Google, che monitora il 74 percento di queste pagine, seguito da Oracle ( che controlla il 24 percento) e a Facebook (il 10 percento).

Il monitoraggio delle informazioni costituisce un pericolo reale, scrivono gli studiosi, visto che il 45 percento degli url dei siti porno possono rivelare le preferenza sessuali degli utenti perché mostrano la natura del contenuto.

“Chiunque è a rischio quando questi dati diventano accessibili senza il consenso dell’utente, e quindi possono essere potenzialmente usati contro di loro”, scrivono gli autori. E i problemi, proseguono, “sono ancora più elevati per popolazioni vulnerabili il cui consumo di porno può essere classificato come non-canonico o contrario alla loro immagine pubblica”.

“Il consumo di porno costituisce un particolare tipo di dati che, con molta probabilità, gli utenti vorrebbero mantenere privati”, scrivono gli studiosi. Anche perché “in alcune società la rivelazione di queste informazioni minaccia la sicurezza e l’autonomia”.

Una difesa dei colossi di Internet è arrivata sul New York Times. Google ha chiarito che impedisce la pubblicità mirata basata sulle preferenze sessuali dell’internata e ha specificato che non rende note informazioni che potrebbero fare risalire all’identità dell’individuo. E Facebook ha fatto lo stesso.

Tuttavia, evidenzia lo studio, anche se il colosso di Mark Zuckerberg e quello di Mountain View non usano direttamente le informazioni, è probabile che vengano “rubate” da terzi.

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