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Il diritto alla privacy è un diritto umano: parla l’esperto e organizzatore della Privacy Week Jacopo Sesana

Proteggiamo la società dal rischio “black mirror”. A TPI parla l’esperto Jacopo Sesana, organizzatore della Privacy Week

Di Elisa Serafini
Pubblicato il 8 Ott. 2021 alle 16:42 Aggiornato il 8 Ott. 2021 alle 16:44

Jacopo Sesana, autore, consulente, dal 2016 è uno dei promotori della Privacy Week, l’evento digitale dedicato ai temi della privacy, innovazione e diritto, di cui TPI è media partner. Privacy Week, con eventi online previsti dall’11 al 15 ottobre è patrocinata dall’Autorità Garante per la Privacy ed è organizzata insieme a Privacy Network, associazione che ha come obiettivo la promozione della privacy e la protezione dei dati come diritto fondamentali delle persone, di fronte alle sfide dell’innovazione tecnologica.

Sesana racconta a TPI rischi e opportunità dei nuovi paradigmi tecnologici che investono, sempre di più, gli aspetti che riguardano la privacy dei consumatori e degli utenti.  

Qual è l’obiettivo della Privacy Week?
“Non ho nulla da nascondere”, questa è una delle risposte che vengono date più spesso quando si discute di privacy e riservatezza. In uno stato di diritto, cedere la nostra privacy in cambio di sicurezza non è una scelta saggia. La riservatezza è un valore che non sempre viene valutato correttamente dalla maggioranza della popolazione. L’obiettivo di questo evento è quello di far emergere contraddizioni e nuove analisi nel binomio riservatezza-sicurezza in un mondo sempre più ibrido tra fisico e digitale.

Le aziende del mondo tech (delivery, social, gig economy, comunicazione) stanno proteggendo in modo adeguato la privacy dei loro utenti e collaboratori?
Ci sono molte aziende e realtà che lo fanno, altre meno. Ma questo non mi spaventa. Il cittadino e le stesse aziende stanno cominciando a capire che la privacy è un valore che sempre più consumatori utilizzano nella scelta di acquisto di un prodotto e servizio. Privacy Week è e sarà una vetrina per aziende e realtà che fortunatamente hanno già compreso questo elemento, rispetto ad altre.

Quali sono i rischi maggiori in questi ambiti?
Perdità della sfera personale ed individuale (online e offline), social tracking e social scoring, molti rischi che paradossalmente “Black Mirror” tratta all’interno della sua serie su Netflix. Il rischio, a mio personale modo di vedere, è cedere volontariamente o involontariamente la propria privacy in cambio di sicurezza o presunta tale. O in uno scenario meno negativo, non essere in grado di fare un scelta informata e consapevole.

Quali sono i temi più condizionati dai temi di privacy?
La partita è ampissima. Durante l’evento parleremo di denaro, educazione, vita quotidiana, sanità, identità. I fronti su cui discutere sono tutti quelli che rendono l’uomo, uomo nella società contemporanea o come spesso viene definita “società dell’informazione”. Le informazioni, soprattutto quelle personali, e le modalità con cui si costruiscono i modelli sociali digitali devono necessariamente considerare ed implementare modelli privacy-oriented. Ci stiamo giocando un diritto inalienabile. 

Che ruolo dovrebbero avere le istituzioni nella promozione di modelli sostenibili per la protezione della privacy, senza intaccare l’innovazione?
Anche in questa domanda mi trovo di fronte a forti contraddizioni. Non sempre le istituzioni sono a favore di modelli privacy-oriented, per i motivi di “sicurezza” che citavo prima. Cito spesso Bitcoin, come primo esempio. Il concetto di controllo, per le istituzioni, non solo europee, è sempre un confine labile. Personalmente, dovrebbero finanziare e incentivare lo sviluppo di servizi e prodotti privacy-oriented, esattamente come capita adesso per le tematiche green.

Non c’è il rischio che si generino movimenti “neoluddisti” spaventati dalla tecnologia?
La tecnologia è neutrale per definizione. Molto spesso si critica Bitcoin perché utilizzato nel deep web, e quindi si dovrebbe limitare la diffusione. Con la stessa logica, si dovrebbe bloccare Twitter perchè utilizzato dai terroristi o altre tecnologie moderne perché capaci di ledere all’individuo e alla collettività. Il tema che emerge è sempre lo stesso: l’uomo e il suo utilizzo di nuovi mezzi, sempre più intrusivi nella vita quotidiana.

Perché un laureato in filosofia ha scelto di occuparsi di tecnologia e privacy?
Le motivazioni sono due: la prima è perché sono da molti anni all’interno del mondo Bitcoin, dove il tema privacy è un valore e non come spesso viene etichettato dai mass media tradizionali “un problema”. La seconda motivazione è perché mi sono accorto come i percorsi universitari siano rimasti obsoleti a dinamiche sociali e filosofiche troppo antiche che non riescono ad analizzare i problemi contemporanei. La filosofia deve adattarsi al nostro tempo, e il ruolo del filosofo è ormai visto come una figura inutile perché “non produttiva”. Voglio andare contro corrente, e far notare come la filosofia è ancora in grado di rispondere a tematiche universali.

Perché la privacy è anche un tema etico?
La storia, nel più ampio senso possibile, come direbbe Heidegger, dovrebbe insegnarci che cedere delle libertà e dei diritti è un segnale negativo su ciò che sarà futuro. La riservatezza è a tutti gli effetti un diritto e una libertà individuale.

Leggi l'articolo originale su TPI.it
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