Paolo Simoncelli, papà di Marco, il centauro tragicamente morto nel 2011 a soli 24 anni, si racconta in un’intervista al Corriere della Sera. Fondatore del team “Sic58”, che ha l’obiettivo non solo di ricordare il figlio scomparso ma anche di lanciare i giovani piloti nel motociclismo, Simoncelli rivela che presto potrebbe lasciare il mondo delle moto. Ad accelerare questa decisione potrebbe essere la Liberty Media, la società che ha acquistato la Dorna, la società che detiene i diritti della MotoGp: “Questi americani mi hanno già rotto. Mirano a cambiare tutto, sembra che non vada bene niente di quello che abbiamo costruito. Vogliono togliere dai conteggi ufficiali i titoli vinti nelle categorie inferiori, contano solo quelli in MotoGp. Così mio figlio Marco, i Gresini o i Nieto sparirebbero. Vogliono cancellare la storia”.
Non gli piace neanche “che i piloti già a 18 anni siano influenzati dai loro manager e che abbiano dei fisici da MotoGp. Dormono e mangiano come un Marquez, vanno in palestra 5 giorni su 7 quando non è necessario. E poi arrivano troppo tardi nel Motomondiale: il limite di età è stato alzato per gli incidenti mortali nel Cev, ma bastava fare griglie meno piene”. Simoncelli, quindi, aggiunge: “Ci fanno sentire inutili, per gli americani di Liberty il motociclismo non esiste. Vogliono solo lo spettacolo, ma allora che facciano un circo. Che poi la soluzione sarebbe semplice: ogni squadra della MotoGp dovrebbe avere un team in Moto3 e Moto2”.
Paolo Simoncelli, poi, ricorda quando disse a Papa Francesco di essere arrabbiato con Dio per la morte del figlio Marco: “Sì, sono proprio inc…. È distratto, dovrebbe stare più attento. Succedono cose che fanno troppo male, i genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai figli”. E lo stesso Pontefice, rivela, gli rispose: “Che avevo ragione”. Simoncelli fatica a trovare consolazione nella fede: “Mi ripeto semplicemente che questa è la vita e soprattutto che non ho nessun rimpianto. Il destino di Marco era questo, io e mia moglie abbiamo fatto di tutto affinché fosse felice e lui è morto mentre stava facendo una cosa che lo rendeva felice”.
Poi, rivela di aver un solo, unico, rimpianto: “Solo uno, quell’asciugamano del c… che Marco teneva in testa al contrario sulla griglia di partenza in Malesia”. Un gesto scaramantico ma nel mondo delle corse “tutti lo sono. Ci sono dei gesti che ripeti perché ti danno serenità. Quel pomeriggio lì, quando varcai il cancello sul motorino per andare a vedere la gara, mi arrivò addosso un vento gelido che sapeva di morte. Mi sono detto. ‘ca… lo vado a fermare’. Ma mancava un minuto e non ce l’avrei fatta. Per cinque minuti, fino all’incidente, ho sentito che c’era qualcosa che non quadrava”. Paolo Simoncelli, però, afferma di non aver mai pensato di abbandonare tutto dopo la morte del figlio: “No, perché dopo la tragedia le moto mi hanno fatto vivere 15 anni bellissimi. Ho fondato la squadra per non morire. Mi sono sentito impegnato, mi ha aiutato a pensare ad altro e questo per me è stato importantissimo. Devo ringraziare Carmelo Ezpeleta (Ceo di Dorna) che mi ha sempre appoggiato fin dai tempi del campionato italiano. Un grazie grande come una casa”.