Dagli ori alle Olimpiadi all’amicizia con Yury Chechi fino all’infarto che lo ha colpito nel 2021: l’ex canoista Antonio Rossi si racconta in un’intervista al Corriere della Sera. Cinquantasei anni, l’ex atleta ricorda la prima volta che è salito su una canoa: “1982, ero sul mio lago, a Lecco. Sono andato alla Canottieri e mi hanno dato un modello da fluviale, più facile di quelle da velocità che poi ho imparato a usare negli anni. La sensazione che ho provato quando mi sono trovato con la pagaia tra le mani è stata bellissima, mi sono sentito libero. Scivolavo sull’acqua con i miei amici vicino, sentivo di aver trovato il mio posto nel mondo. Ancora oggi ripensare a quel momento mi emoziona”. E alla domanda se sia più emozionato ad Atlanta, dove ha vinto due ori, o a Pechino, dove ha ricoperto il ruolo di portabandiera, Rossi risponde: “È una bella lotta. Arrivavo dal bronzo del ’92 Barcellona, vincere due ori, salire per due volte sul gradino più alto del podio con le note dell’Inno nazionale quattro anni dopo è stata un’emozione indescrivibile. Ma allo stesso modo, essere scelto, a 40 anni, come alfiere l’ho vissuto come un grande onore: entrare in campo, nello stadio olimpico, con tutta la squadra italiana che ti segue, è stata una scarica di adrenalina ed entusiasmo incredibile”.
“Indossare la maglia azzurra non è solo un onore, ma anche una responsabilità. E lo stesso vale per quella giallo-verde delle Fiamme Gialle. Non è solo un oggetto che indossi, significa rappresentare il proprio Paese e dover dare il buon esempio” spiega l’ex atleta riguardo al significato di gareggiare per la propria nazione. Antonio Rossi, poi, rivela di rivedere spesso le sue gare accompagnate dalla voce di Giampiero Galeazzi: “Soprattutto quando vado nelle scuole per incontrare i ragazzi. La voce di Giampiero ha narrato le nostre gare e questa per noi è stata una fortuna perché lui aveva il dono di saper trasmettere tanta passione anche a chi di canoa non sa nulla. Sono sincero, quando rivedo quelle immagini e ascolto il commento, ancora oggi ho qualche brivido”. Lo sport ad Antonio Rossi ha dato “tantissimo. Sicuramente io allo sport ho regalato qualche ora della mia vita… ma quello che ho ricevuto in cambio è di più. Mi ha dato emozioni e valori. Da padre ho sempre voluto che i miei figli facessero sport perché nell’allenamento, nel confronto, nella gara, nella squadra assimili più che in qualsiasi altro tipo di educazione”.
Poi parla della sua amicizia con Yury Chechi: “Ci siamo incontrati per la prima volta ad Atlanta che per entrambi è stata un’edizione speciale dei Giochi (Chechi vinse l’oro agli anelli, ndr). Poi ci siamo ritrovati a una finale di Miss Italia, lui era presidente di giuria e io uno dei giurati: lì è nato tutto, ci sentiamo praticamente tutti i giorni. Mia moglie mi scusa sempre quando sono con Jury, le nostre sono lunghe serate goliardiche”. E sulla cosa più folle fatta insieme, Antonio Rossi non ha dubbi: “Pechino Express. Quando me l’hanno proposto pensavo che Jury avrebbe detto di no e lui ha pensato la stessa cosa… Invece ci siamo ritrovati con lo zaino rosso in spalla. E proprio in questi giorni rivederci su TV8 dove stanno riproponendo il viaggio, mi fa capire quanto sia stata incredibile quell’avventura. Ci ha unito ancora di più. Già partivamo bene tra corse in bici e partite di tennis. Non sa quante volte abbiamo prenotato un campo a mezzogiorno, preso racchette e palline, e via con la sfida. Nessuno voleva mai mollare”.
L’ex canoista, poi, parla dell’infarto che l’ha colpito nel 2021: “Anche quel giorno ero con Jury. Non stavo bene, sentivo da una settimana che il mio corpo non rispondeva come al solito. Essere atleti di alto livello ti accende dei campanelli, capisci subito se qualcosa non va. Però avevo in programma una granfondo di bici e mi sono presentato. Ricordo che la sera prima — cosa che non ho mai fatto — ho preso dal ‘pacco gara’ il numero dell’assistenza. Sarà stato il mio angelo custode… Durante la gara ho sentito prima una fitta allo sterno, poi del formicolio alle mani e le gambe hanno iniziato a non girare. Mi sono fermato”. I soccorsi sono arrivati subito ma “io ho lasciato andare due medici di gara prima di dare forfait. Mi scocciava ritirarmi, pensavo a una congestione. Quando ho provato a risalire in bici ho capito che non avevo forze e a quel punto ho preso il numero e ho chiamato l’ambulanza. Dal tracciato si è capito subito che era infarto”. Un episodio che gli ha cambiato la vita: “Non ti senti più un supereroe, capisci che il fisico può essere debole, che non va trascurato. Prendo medicine tutti i giorni”.