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Gli sprechi eterni di Mamma Rai

La sede della Rai

Il libro di Cardo Verdelli spiega perché è vano il tentativo di liberare la tv di stato dai partiti

Di Nello Trocchia
Pubblicato il 14 Mar. 2019 alle 08:39 Aggiornato il 14 Mar. 2019 alle 11:07

Forse l’unica cosa sbagliata è il titolo Roma non perdona, Come la politica si è ripresa la Rai (Feltrinelli editore) perché in realtà dalla Rai la politica non è mai uscita nonostante il tentativo, risultato vano.

Il libro di Carlo Verdelli, oggi direttore di Repubblica e per 14 mesi primo direttore dell’informazione di viale Mazzini, è il racconto dettagliato di un sogno abortito, di un progetto naufragato, quello di migliorare l’informazione del servizio pubblico tagliando sprechi, accorpando edizioni, spostando sedi.

Tutto perfettibile, si intende, ma un’idea nuova con un orizzonte ambizioso, la Bbc inglese, considerando i professionisti di livello che lavorano nell’azienda. Precisiamo subito che tutto è finito con l’addio di Verdelli, poi quello dell’amministratore delegato Antonio Campo Dall’Orto, con buona pace del progetto di rinnovamento e della nuova Rai, ma il libro è un “viaggio – come recita la quarta di copertina – senza precedenti nei corridoi di viale Mazzini”.

Iniziamo dalla fine, poche parole per capire. Al termine dell’esperienza di Campo Dall’Orto, voluto dal governo Renzi come amministratore delegato della Rai, l’ex segretario Pd spiega in privato: “L’ho scelto in base al curriculum ma è stato un mio errore”. Il curriculum, errore imperdonabile.

E con Renzi, Verdelli si incontra in una occasione indimenticabile, in uno scrigno ad uso e consumo degli inquilini di Palazzo Chigi, un palazzo d’epoca, il Casino del Bel Respiro, nel verde di villa Pamphilj.

Lì Renzi era solito prendere il sole in mutande lontano dagli occhi indiscreti. “Mi faccio portare una sdraio e sto lì un’oretta, tutto ignudo, solo con gli slip”. È il primo incontro Verdelli-Renzi, presenti Campo Dall’Orto (Cdo) e Filippo Sensi, allora portavoce del primo ministro.

I due, Verdelli e Cdo parlano di Rai, ma l’attenzione di Renzi è a tempo. Faceva lo stesso con i suoi ministri quando sulle questioni complesse tagliava corto: “Ok, adesso fammi un sommario. Ma corto”.

Il bignami al potere. L’allora re sole, poi naufragato insieme alla sua riforma costituzionale, offre ai graditi ospiti il menù perché “ha il marchio della presidenza del Consiglio – spiega Renzi – ha la data e tutto. Se volete è un bel ricordo”.

Gli amici più bravi e i bagni

In Rai ci sono 13 mila dipendenti, è uno dei maggiori gruppi televisivi europei, eppure c’è sempre qualcuno che dai salotti pontifica su qualcuno più irrinunciabile di un altro. E uno che il potere romano lo incarna è di certo Gianni Letta, che non riesce a disinteressarsi delle sorti dell’informazione pubblica e di chi la controlla.

Sempre e soltanto per l’interesse unico dell’azienda, si intende. Così ad inizio e alla fine dell’avventura in Rai di Verdelli, Letta sente il bisogno di interpellarlo per “segnalare persone che, secondo il suo modesto parere, avrebbero meritato attenzione”.

Segnalazioni ignorate, spiega Verdelli, ma con garbo e sentiti ringraziamenti. Letta, sempre Gianni, ritorna quando c’è da nominare la nuova presidente della Rai. La scelta, nel 2015, cade su Monica Maggioni.

“Una spavalda Maggioni, portata alla presidenza da un accordo Meb (Boschi) -Letta (Gianni) certifica la missione con parole inequivocabili: ‘Non siamo venuti qui per firmare una gazzetta del palazzo’”.

E proprio la presidente è protagonista di un episodio che riporta indietro le lancette dell’orologio ai tempi delle elementari e del giro, per punizione, dietro la lavagna. Il fatto accade durante uno degli ultimi consigli d’amministrazione.

Nel corso della riunione Verdelli ha necessità fisiologiche, così si alza e sussurra ‘bagno’. La presidente si adira: “Prima si deve avere il via libera, da chi presiede o no? E cazzo, il rispetto, vai, vai…”.

Oggi Maggioni è stata promossa amministratore delegato di Raicom, società con un centinaio di dipendenti che si occupa di vendere i diritti Rai all’estero. Ma soprattutto, ci rassicura l’autore, nonostante il cambio di sede, “suite con bagno, of course”.

SprecheRai

In Rai l’idea di Verdelli era quella di ‘razionalizzare’, un piano di riforma di 470 pagine, ma riforma è parola invisa e abolita di fatto. Il suo piano per l’informazione, con l’obiettivo di svecchiare la Rai e liberarla dai parassiti della partitocrazia, partiva da alcuni ‘tagli’ da realizzare.

Come la terza edizione del Tg3, il tg regionale, in onda da mezzanotte e 10 a mezzanotte e 14. “Quattro minuti – dettaglia Verdelli – ascolto marginale, ma con una spesa pazza da 3 milioni di euro l’anno. Possibile? Eccome. Le sedi regionali chiudono alle 22, quindi il personale impegnato nella messa in onda è in straordinario notturno. Cancellarlo? Impossibile”.

È solo uno degli esempi. L’epilogo è ben noto: l’addio degli agitatori, la fine della bufera e non marginalmente, il no a Milena Gabanelli e alla sua Rai24, occasione straordinaria per il servizio pubblico, sfumata anche questa.

E alla fine, Verdelli racconta, il liberi tutti. “Al G7 di Taormina, fine maggio 2017, le tribù tornarono a scatenare la loro geometrica potenza, indebitamente repressa dalla gestione appena scaduta; 35 inviati neanche si fosse rialzato il muro di Berlino”.

In realtà un muro resta intonso e inamovibile quello che divide la Rai dalla piena indipendenza dai partiti, che quando all’opposizione gridano alla spartizione, poi arrivati al governo fanno esattamente come i predecessori.

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