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Perché a noi, adulti un po’ adolescenti, ha fatto bene strappare lungo i bordi con Zerocalcare

Di Maria Elena Marsico
Pubblicato il 22 Nov. 2021 alle 16:16

Le stazioni della metropolitana a Roma tappezzate dalle locandine, le storie Instagram con il countdown, poi esce la serie il 17 novembre e le stories si riempiono di citazioni, così come le pagine degli altri social network. La serie Netflix “Strappare lungo i bordi” di Zerocalcare è ovunque. Ma non puoi ancora vederla, devi finire Squid Game, ma che fine ha fatto Squid Game? La classifica delle serie più viste in Italia, sulla piattaforma streaming, è stravolta. Al primo posto c’è la serie del fumettista Michele Rech – Zerocalcare – che supera quella coreana e anche la nuova stagione di Narcos Messico. La paura degli spoiler però prende il sopravvento e vuoi scoprire perché sono tutti “cintura nera de come se schiva la vita”. E così vai su Netflix e decidi di cominciare un viaggio verso Biella in compagnia di tre amici – e una coscienza – che tra di loro si conoscono da sempre. “Ma cosa c’entro io con loro?”, no non te lo chiedi. Lo capisci subito senza sentirti di troppo. Parlano di un’altra amica che conosci solo nei loro ricordi e improvvisamente siete in sei: tu, Zerocalcare (autore, interprete, protagonista) con la sua coscienza Armadillo, Sarah, Secco e Alice.

C’è anche la musica di Giancane. Sei episodi, appena venti minuti, con i disegni di Michele Rech. Visti come se fossero un film di due ore. Senza pause o interruzioni di alcun tipo. E così, dopo centoventi minuti, capisci il perché del suo successo e perché ne parlano tutti. Lo capisci mentre stai postando su Instagram proprio una di quelle frasi che hai letto nelle storie dei tuoi amici e delle tue amiche. Zero parla a tutti noi, adolescenti, adulti, disordinati o precisi. Perché, proprio come lui nella serie, siamo al centro del nostro mondo e vogliamo che qualcuno parli con noi, parli a noi. E se poi lo fa su Netflix, mentre siamo avvolti nel nostro plaid preferito, allora è ancora più parte delle nostre giornate, vicinissimo alla nostra realtà di Millenial che ancora ricordano il nickname del 2007 su Msn. Strappare lungo i bordi racconta la vita, di quando hai 17 anni “e tutto il tempo del mondo” per seguire “la linea tratteggiata di ciò a cui sei destinato”, di quando ne hai più di trenta e realizzi che le storie degli altri sembrano perfettamente ritagliate, impilate e ordinate “solo perché noi le vediamo da lontano”. Strappare lungo i bordi racconta la vita con un accento romano e con la voce di Michele Rech/Zerocalcare (e Valerio Mastandrea per l’armadillo). Fino a quando anche gli altri personaggi non acquisiscono la propria voce, o quando Zero decide di ascoltarli. Ma proprio quel dialetto e quell’italiano biascicato sembrano essere oggetto di polemiche che, probabilmente, si appigliano all’unica cosa in cui non ci si può riconoscere da Nord a Sud.

D’altronde, anche a Massimo Troisi veniva chiesto il perché parlasse in napoletano. A lui che sognava e pensava nel suo dialetto e continua a essere un Maestro, anche per le nuove generazioni, anche per chi non capisce il napoletano. Ma poi, davvero qualcuno non capisce il romano? E anche se fosse, su Netflix ci sono i sottotitoli in italiano. Comunque, la narrazione di Strappare lungo i bordi è vincente. È ironica e sarcastica, tipico di Zerocalcare. Si ride, tantissimo, ma si piange anche (ridendo). Strappare lungo i bordi racconta le difficoltà di un’intera generazione, quella dei Millenial: la precarietà, l’incomunicabilità, il senso di inadeguatezza, la ricerca di una propria identità, l’interrogarsi sui propri obiettivi. Nella trama compaiono banali scene di vita quotidiana contrapposte alla ricerca del senso della vita, al peso del mondo sulle nostre spalle quando ce ne sentiamo al centro, facendoci carico di ogni cosa che accade. In Strappare lungo i bordi, però, c’è anche la morte, la perdita, la cicatrice che non passa perché “è come una medaglia che nessuno ti può portare via”. La serie compie un balletto tra commedia e tragedia, tra riso e pianto, tra ordinaria quotidianità e momenti che in potenza possono stravolgerti la vita. È un’onda di dualismi cavalcata dall’introspezione, attenta a non cadere nelle profondità dell’Oceano dopo aver imparato a (non) strappare lungo i bordi.

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