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Ghali a “Che Tempo che Fa”: “Dopo il successo del 2016 ero annebbiato. Strano che chiedere la pace sia divisivo”

Di Marco Nepi
Pubblicato il 19 Feb. 2024 alle 11:05

Ghali è stato ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa” domenica 18 febbraio. Il conduttore è tornato sull’appello alla pace che ha scatenato polemiche durante e dopo il Festival di Sanremo. Il rapper aveva detto “Stop al genocidio” al termine dell’esecuzione di un brano, facendo riferimento alla situazione a Gaza. Fazio ha chiesto a Ghali: “’Stop ai massacri’ sembra essere diventato un messaggio ‘contro’ qualcuno, ma la pace è per tutti. Come te lo spieghi?”. E lui: “È un mondo strano questo, dove ti insegnano che la pace è giusta ma poi non puoi averla”.

Si è aperta con un medley, l’intervista di Ghali a Che tempo che fa. Si è aperta con tutta l’emozione sofferta di Banya, con le frasi potenti di Casa mia.

Sul suo successo: “Da Sanremo sono successe tante cose, mi ritrovo in un momento che fa parte di un processo iniziato un anno fa, o anche di più: dopo il mio successo del 2016 ho fatto tour e ho fatto uscire tanta musica, rotto tanti record e fatto delle bellissime cose, a un certo punto ero annebbiato da tutto. Inizi a rotolare e vai avanti per inerzia, non hai più tempo per ragionare e per fare una vita normale, perché alla fine siamo persone normali. Io arrivo da un quartiere di periferia di Milano come tante persone e a un certo punto ho dovuto fare i conti con la mia vita personale: c’è stato un momento in cui mia madre si è riammalata, un momento in cui sono dovuto andare dalla psicologa, vita normale. Mi sono staccato un attimo dalla musica perché volevo smettere di rotolare, volevo fermarmi e ragionare, tornare alla mia essenza, che dopo un po’ ho perso sotto i riflettori tutti i giorni. Ho iniziato davvero molto giovane e il successo che ho avuto in quegli anni era senza precedenti, non avevo le spalle larghe abbastanza per poter reggere tutto”.

Sulla trap: “I trapper sono i nuovi cantautori di oggi: esattamente come facevano i cantautori di una volta che usavano il linguaggio di strada di quel momento, i cantautori di oggi usano il codice di strada. Per questo molti giovani si ritrovano: parliamo di vita vera. Lo sento nei testi di De Andrè che lui parlava come si parlava nelle strade, riesco a percepirlo che era uno slang di quel momento. Io sono stato un ultimo per tanto tempo e lo sono ancora”.

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