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Tutti a criticare Grignani a Sanremo, ma a 50 anni siamo tutti come lui: trascurati e in sovrappeso

Di Maurizio Tarantino
Pubblicato il 5 Feb. 2022 alle 13:46 Aggiornato il 5 Feb. 2022 alle 13:57

Qualche decennio fa un coraggioso Mickey Rourke decise di interpretare un ruolo originale ed estremo in un film, “The Wrestler“, che fece molto discutere, soprattutto per il ritorno al cinema dell’attore protagonista, ovvero lo stesso Rourke. L’attore fece il suo ritorno ad Hollywood dopo un travagliato periodo personale che l’aveva segnato in maniera evidente nel corpo e nella psiche, stravolgendo l’immaginario collettivo che il pubblico aveva di lui, ovvero quello della sua interpretazione in 9 settimane e ½ , opera cult con Kim Bassinger.

Il film dell’86 è rimasto impresso nell’immaginario in particolare per la scena dello strip-tease sul pezzo di Joe Cocker, ed è tra i più rappresentativi esempi di opere che hanno plasmato la cultura di massa occidentale. Un film bello, attraente, sensuale, perfetto e trasgressivo. Con la scelta di “The Wrestler”, Mikey Rourke ci fece capire che essere artisti non vuol dire essere icone cristallizzate e protette dal tempo e dalla vita; essere artisti significa essere umani.

Qualcuno, forse troppi, ha colto l’occasione dell’umanità portata in scena a Sanremo da Gianluca Grignagni, per parlottare e postare, commentare perfidamente sulla sua forma fisica e il suo stato psichico, emettendo più o meno inconsapevolmente giudizi e insulti in gran quantità e di una crudeltà ingiustificata. Altri invece adottano, ancora in queste ore, toni caritatevoli, pieni di comprensione pietosa.

Quest’ultimo atteggiamento dovrebbe suonare come controparte agli insulti, ma a guardar bene questi interventi risultano bigotti, nella loro taciuta sensazione che lasciano di una superiorità magnanime, fuori luogo almeno quanto gli insulti dei primi. Tutto già scritto in un infinito copione che ogni giorno si ripete sul palcoscenico dei social. Come se il pubblico attendesse quel ragazzo di 20 anni – che fu ormai 30 anni fa – e gli artisti dovessero essere indenni al trascorrere del tempo, ai solchi sul viso che spesso lascia la vita e ai traumi impressi da vittorie e sconfitte, salite e cadute in quell’eterno loop quotidiano che chiamiamo “normalità” di un essere umano.

Rappresentare la normalità oggi dove tutto è falso è un’opera d’arte, perché a cinquant’anni, a guardarci bene, siamo in tanti un po’ come Grignani. In sovrappeso? Probabile. Trascurati? Capita. Sopra le righe? Può essere. Sicuramente quello che non siamo è l’immagine di noi che avevamo 30 anni fa, perché normalmente ogni giorno cambiamo tutti, a volte in maniera nascosta, più spesso in maniera sostanziale e travolgente. L’opera d’arte che ieri Grignani e Irama hanno messo in scena a Sanremo ci ha ricordato questo. Se ci ha dato fastidio quel cambiamento, guardiamoci allo specchio perché non ne siamo indenni e, per ripetere una bella frase di Faber ripetuta ieri da Vinicio Capossella e Giovanni Truppi, non siamo “assolti ma coinvolti”!

 

 

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