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    La discografia non è un mondo per donne

    Arisa. Credit: Ansa
    Di Matteo Giorgi
    Pubblicato il 11 Gen. 2021 alle 11:40 Aggiornato il 11 Gen. 2021 alle 15:50

    La FIMI ha appena pubblicato la classifica dei dischi più venduti durante il 2020 in Italia. I primi 5 sono collegati da un fil rouge: RAP – RAP – RAP – RAP – RAP. E questa non è decisamente una sorpresa. La vera sorpresa, se così possiamo chiamarla, è che le donne, nella musica, non interessano più a nessuno.

    Pochi le ascoltano in streaming, ancora meno gente compra i loro dischi (Elodie è la prima donna in assoluto alla posizione 22, poi, per trovare una italiana, bisogna passare alla 39 con Elettra Lamborghini) e il livello di “coolness” che raggiungono all’estero (basti pensare che nel mondo Dua Lipa e Lady Gaga sono ovunque in vetta e qui arrancano attorno alla trentesima posizione) qui è solo una chimera. Vi vedo già.

    State dicendo “facile citare una “music culture” che in Italia non esiste e non prenderà mai piede!” Critica oggettivamente corretta: oltre a non esistere in terra nostrana un corrispettivo di Dua Lipa e Lady Gaga (vi ricordate, ad esempio, quanto in fretta è scemato l’interesse per MYSS KETA che ha da poco pubblicato un EP passato completamente inosservato?) non esiste nemmeno una forte identità femminile rap e hip-hop (si possono giusto citare gli esperimenti embrionali di Anna e Madame e alcuni che non hanno mai spiccato il volo come Luna o Chadia Rodriguez)

    Allora quale è il problema? L’ascoltatore classico medio è misogino? Scorrendo la famosa classifica di fine anno verrebbe da pensare di sì. I “maschi” ascoltano solo roba “da maschi” di qualsiasi età si parli: i giovani ascoltano Sfera, Salmo, Marracash, quelli meno giovani rimangono arroccati su Vasco, Ligabue o i Pink Floyd (Vinile più venduto dell’anno: avanguardia pura) come se fosse un eterno 1995.

    Il resto, evidentemente, è “roba da donne” e sia mai. È la discografia ad essere maschilista? Ovviamente se lo dici, ti dicono che vaneggi. Ma pensate banalmente a quante donne sono state direttrici artistiche del festival di Sanremo negli ultimi 70 anni… ve lo dico io: nessuna.

    Pensate a quanti donne sono le headline nei grandi festival nostrani (Jovanotti nella sua festa in spiaggia su 300 ospiti scelse 4 donne e ci fu anche una grande polemica sul cast del primo maggio di due anni fa, che non aveva nessuna donna: si giustificarono dicendo che quelle invitate non potevano): in America se Beyoncé alza il telefono diventa il nome principale di Coachella, qui se la Tatangelo chiama qualcuno al massimo diventa giudice in un programma del mercoledì sera della Hunziker.

    Diciamola tutta: il ricambio generazionale faticherà ma anche la musica femminile italiana di grande visibilità degli ultimi anni non ha dato grande lustro di sé. Analizzando anche solo le “prescelte” del prossimo festival di Sanremo la situazione è tutt’altro che rosea: Annalisa ormai duetta pure col fruttivendolo sotto casa, Noemi non azzecca una canzone da anni, Malika Ayane arriva da flop discografici e televisivi con la peggiore edizione di X Factor di sempre e di Arisa si continua a dire “Eh, che bella voce” e poi la si fa cantare “La notte” di ormai 10 anni fa.

    Chiudo con un esempio lampante: Taylor Swift la pop queen americana, per dare una svolta alla sua carriera ha chiamato dei giganti come Bon Iver e The National. Emma Marrone ha chiamato Alessandra Amoroso per farci un duetto chiamato “Pezzo di cuore”. Capite la differenza? Esiste una soluzione? Sono solo macerie? Secondo il mio modestissimo parere c’è solo una via maestra che la musica al femminile in Italia dovrebbe perseguire: quella della qualità. E fidatevi che abbiamo già esponenti eccellenti: penso a Tosca e ad Antonella Ruggiero che, lasciata da anni la strada del mainstream, hanno puntato alla riscoperta della musica d’autore, della ricerca, della sonorità con concerti sold out ovunque.

    Penso a Paola Iezzi, che ora sta lavorando in quel di Stoccolma, e che da anni porta il pop italiano a livelli internazionali. Penso a Roberta Giallo, che si è accaparrata tutti i premi più importanti degli ultimi anni, a L’Aura, che continua a fare un percorso che unisce musica e arte e all’immensa Ornella Vanoni che, a quasi 90 anni, esce oggi con un disco di inediti pronta a tornare sui palchi appena sarà possibile.

    Questo le donne della musica possono ancora insegnarci: a lasciare Spotify e compagnia bella a quelli lì e a tenersi la qualità, la magia dei suoni e le cose belle per sé. Io sono fiducioso.

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