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Usa: lacrime contro i fucili

Politica, dolore in tv e gun control

Di Michele Barbero
Pubblicato il 14 Apr. 2013 alle 18:27

Questo week-end, non è stato il presidente Obama a tenere il consueto discorso settimanale alla nazione. Al suo posto c’era Francine Wheeler: una madre distrutta dal dolore, il cui figlio di sei anni è stato ucciso lo scorso dicembre nel massacro di Newtown. La donna ha chiesto agli americani di tenere alta la pressione sul Congresso perché vengano approvate “alcune misure di buon senso, che renderebbero le nostre comunità più sicure”: le riforme sul controllo delle armi a cui sta lavorando l’amministrazione Obama.

Ho fatto fatica ad ascoltare l’appello di Francine fino alla fine. Una sofferenza inimmaginabile traspare dalla sua voce e dalle lacrime che essa riesce a stento a trattenere. Detto questo, però, il video mi ha anche suscitato reazioni contrastanti, che hanno a che vedere con l’ambiguo rapporto tra politica, cittadinanza ed emozioni.

In generale, sono sempre stato piuttosto scettico nei confronti dell’emotività in politica. Tendo subito a percepirvi una nota stonata, un voltare le spalle al rigore della logica per capitalizzare su pianti, sorrisi e fremiti d’orgoglio.

All’inizio, devo ammettere che ho provato la stessa sensazione anche di fronte a Francine. Il suo dolore è chiaramente, terribilmente vero. Eppure non ho potuto fare a meno di pensare alla squadra presidenziale che doveva aver soppesato ogni parola del suo discorso, deciso quando zoomare su un primo piano e quando no, discusso se e come mostrare il marito al suo fianco.

Anche di fronte a una tragedia così grave, e a una battaglia (quella per il controllo sulle armi) che mi pare sacrosanta, non riuscivo quindi a sopprimere il disagio che si prova quando si ha l’impressione di assistere ad una strumentalizzazione.

A ben pensarci, però, stavolta mi sbagliavo. Ammettiamo pure che sulle riforme in vista possano esserci giudizi politici diversi – anche se, dopo aver dato un’occhiata alle misure specifiche, mi è davvero difficile dare torto a Francine e a Obama quando parlano di provvedimenti di semplice “buon senso”.

Quella che gli americani si sono trovati di fronte non è una madre di cui è stato sfruttato il dolore; bensì una donna che quel dolore ha reso più che mai “cittadina”. A partire dalla sua sofferenza, essa ha riaffermato il legame tra società e politica, e la possibilità per queste ultime di riflettersi l’una nell’altra. Quella voce spezzata ribadiva cioè il peso delle leggi nella vita delle gente, esprimendo però anche fiducia nelle leggi stesse come strumento per migliorare la comunità. Negli occhi umidi di Francine, insomma, non si scorge solo un macigno quasi insostenibile; vi si può leggere anche l’aspirazione alla politica nel suo senso più alto. Quella che agisce in nome dei e per i cittadini, e a loro rende conto.

Se le cose stanno così, le lacrime in tv non sembrano più così terribili.

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