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Quattro Pezzi Facili

Cosa ci insegnano queste elezioni tedesche. Tra destra, centro e sinistra.

Di Livio Ricciardelli
Pubblicato il 22 Set. 2013 alle 21:51

Mentre viene redatto questo articolo non sappiamo in realtà se siamo di fronte ad una vera e propria svolta epocale della politica tedesca (presumibilmente no). Quella svolta che sarebbe rappresentata dalla possibilità da parte della Cdu/Csu di governare per la prima volta da sola, e senza bisogno di junior partner, la Repubblica Federale Tedesca.

Ma nonostante qualche dose d’incertezza, che verrà dissipata nella notte appena si saprà il numero esatto di seggi spettanti al partito cristiano-democratico, già possiamo trarre alcuni insegnamenti politici da questo voto federale.

-In primo luogo la conferma del vecchio adagio secondo cui “la Grande Coalizione logora chi ci sta dentro”. Il partito cristiano-democratico tedesco ha subito un calo dei propri voti dal 2005 al 2009 proprio in concomitanza col governo Cdu-Spd, facendo lievitare i consensi del Partito Liberale escluso dall’accordo di governo. Stessa dinamica si confermò a sinistra col crollo record della Spd di Steinmeier e l’aumento di Verdi e Linke. Questo schema, non essendosi riprodotto negli ultimi quattro anni, ha consentito alla Merkel di aumentare di quasi il 10% i propri consensi elettorali presumibilmente anche perché a guida di un governo di coalizione…ma non troppo grande!

Un consiglio che dovrebbero ben ascoltare i vari Werner Faymann che si trovano in posizioni analoghe, considerando che li la spinta euroscettica sembra essere più forte.

-In secondo luogo questo voto ci testimonia come…non tutti i governi sono uguali! Il primo governo Merkel, sostenuto anche dalla Spd, ha registrato oggettive differenze dall’esecutivo coi liberali. L’impostazione rigorista ma soprattutto intergovernativa nell’ambito europeo (e su questo temiamo che influisca molto la provenienza orientale di Angela Merkel) erano aspetti emersi in maniera labile sin dal 2009. O comunque di trattava di linee guida programmatica che il Partito Socialdemocratico era riuscito ad annacquare.

-Un altro insegnamento può venire dalla parabola politica della Fdp: da junior partner dei governi socialdemocratici (allora non esistevano i Verdi, frutto dell’unificazione del paese) dal ’69 all’82 fino a diventare un soggetto politico complementare alla Cdu. Scaricati sull’altare delle grandi intese nel 2005, nonostante l’ottimo 9.8%, nulla ha potuto fermare l’avanzata di Westerwelle and co. nella stanza dei bottoni con l’oltre 14% del 2009. Peccato il patrimonio di famiglia sia stato del tutto depredato in nome di non si sa quali intransigenze europee. Lungi dallo scomodare Nick Clegg che si è trovato in pochi giorni dall’essere il capo del partito “di sinistra” e alternativo al “blairismo imperante” (do you remember seconda guerra del golfo?), il rischio che ci troviamo di fronte è quello di un partito liberale che, come molti omologhi teutonici, incomincia a nutrire risentimenti di tipo isolazionista se non reazionari. Basti pensare alla vicenda della Fpo austriaca. Anche lì un tempo si sognava l’Internazionale Liberale…

-Infine, ma non è la prima volta che si tratta questo tema, c’è il grande problema legato al Partito Socialdemocratico. Un partito che si trova strutturalmente ad essere incapace di poter aspirare alla leadership del paese. Al massimo oggi un leader socialdemocratico può sognare di fare…il vicecancelliere di un governo a guida cristiano-democratica (per carità: a qualche segretario della Fgci sarebbe bastato diventare segretario del partito). Sembrano del tutti naufragati gli intenti bipolaristi che vedevano al governo o Kohl e i liberali o il terribile duo Schroeder-Fischer. Del resto, tutta questa situazione, è uno dei motivi per cui a qualcuno in Italia era venuto in mente di fondare il Partito Democratico. Curiosa idea.

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