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Puntate i fucili, si gioca a calcio

La security brasiliana che punta i fucili contro i calciatori dell'Arsenal è un campanello d'allarme in vista dei Mondiali 2014

Di Nicola Sbetti
Pubblicato il 4 Apr. 2013 alle 19:19

Dire che una sfida tra una squadra brasiliana e una argentina sia qualcosa di più di una semplice partita di calcio è quasi una banalità, eppure la sfida fra l’Atlético Mineiro e l’Arsenal Fútbol Club, valida per il gruppo 3 della Coppa Libertadores 2013, ha dimostrato una volta di più, se mai ce ne fosse stato bisogno, la validità di questo assunto.

Già sconfitta 2-5 a Sarandí, la squadra argentina del Presidente Julio Grondona (nemico giurato di Maradona), ha subito, anche a Belo Horizonte, una sconfitta col medesimo punteggio per mano del club di Ronaldinho Gaucho. L’incontro è stato molto teso, tanto che già a fine primo tempo si era scatenata una prima rissa.

A fine partita però la frustrazione dei calciatori dell’Arsenal ha superato i livelli di sopportazione ed è sfociata in pesanti proteste nei confronti della terna arbitrale, che ha costetto l’intervento delle forze dell’ordine. Se da un lato i calciatori argentini hanno mostrato scarsa propensione al ragionamento, dall’altra i poliziotti brasiliani hanno palesato limiti nella capacità diplomatica contribuendo, come dimostrano le immagini, ad alzare il livello della tensione invece che ad abbassarla.

Quando però le forze speciali sono entrate in campo puntando i fucili contro i calciatori dell’Arsenal una “deprecabile rissa” si è trasformata in un fatto inquietante che potrebbe avere qualche ripercussione anche sulle relazioni bilaterali fra i due paesi, specialmente a livello di opinione pubblica (vedi rassegna stampa).

Già a dicembre, peraltro, gli argentini del Tigre, impegnati a San Paolo nella finale di ritorno della Coppa Sudamericana, avevano rifiutato di riprendere il secondo tempo dopo aver denunciato l’aggressione da parte degli uomini della sicurezza nei confronti dei suoi giocatori.

Insomma se queste sono delle prove generale del Mondiale, qualche preoccupazione in vista del 2014 è legittima. A dispetto dei progressi dello Stato brasiliano, capace sotto la presidenze di Lula e di Dilma di abbassare il livello della sperequazione sociale e di riportare importanti vittorie nella lotta alla povertà, il modello adottato per l’organizzazione del grande evento sportivo sembra ripercorrere più quello repressivo, dell’Argentina di Videla, del Messico di Gustavo Diaz Ordaz o del Brasile di Getulio Vargas, che quello che ci si aspetterebbe da un paese pienamente democratico.

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