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Piccoli contributi, un grande cuore

Gli uomini della Marina Militare italiana in Africa dedicano il loro tempo libero a chi ne ha bisogno

Di Ernesto Clausi
Pubblicato il 7 Feb. 2014 alle 12:24

Emos ha cinque anni. E’ timido, e osserva da lontano, incuriosito, quegli uomini in tuta blu che lavorano alacremente nel cortile della sua scuola. Gli tendono una mano, lui sorride, fa qualche passo in avanti, poi si butta tra le loro braccia. Siamo alla periferia di Maputo, alla Casa da Alegria, dove vivono circa centoventi bambini, e più di cinquecento vanno a scuola ogni giorno. Gli uomini in blu sono i ragazzi di nave Bergamini, una decina circa, che hanno volontariamente deciso di dedicare il loro tempo libero a chi ne ha bisogno. Il centro, gestito dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, si trova in una delle zone più povere della città. Qui il tasso di malati di HIV è elevatissimo. Molti dei bimbi che frequentano la scuola sono sieropositivi, e contraggono di frequente tubercolosi e scabbia, anche per le scarse condizioni igieniche in cui vivono.

Gli uomini della Marina Militare sono esperti di idraulica, di impianti elettrici, sanno mettere la propria esperienza e manualità al servizio di chi vive, anzi sopravvive giorno dopo giorno. E cosi ridanno luce e acqua ai bimbi. Quello che noi diamo per scontato, qui può fare la differenza tra una vita dignitosa, anche se povera, e una condizione sociale che può ucciderti in breve tempo. Sistemano condizionatori e ventilatori, installano un boiler per l’acqua calda, ricollegano la cisterna dell’acqua e i tubi idraulici, riparano la pavimentazione esterna. La Casa da Alegria, che funziona esclusivamente grazie a donazioni private, è anche un ricovero per uomini e donne affette da Hiv e tubercolosi. Qui una volta al mese viene anche distribuito del cibo ai bisognosi e alle famiglie povere della zona.

L’operazione “Sistema Paese in movimento”, intrapresa dalla Marina Militare Italiana, ha molteplici obiettivi. Le tradizionali attività di naval diplomacy a supporto della politica estera italiana, di sorveglianza e sicurezza marittima, di cooperazione internazionale e di addestramento. L’assistenza umanitaria alle popolazioni degli Stati in cui il Cavour fa tappa in cinque mesi di navigazione, e la promozione del made in Italy, attraverso stand espositivi a bordo della portaerei. E poi ci sono le squadre lavori, composte da militari che volontariamente si recano in scuole e ospedali per riqualificare le strutture visitate.

A settanta chilometri da Maputo c’è l’orfanotrofio Irmas Franciscanas Missionarias de Maria. Qui sono gli uomini del Cavour a rinunciare a qualche ora libera a terra per ricostruire tre forni, riverniciare cancelli e pareti, installare delle panche. E colorare la vita di chi è stato meno fortunato.

All’Infantario Primeiro de Maio, il terzo sito in cui la Marina Militare ha deciso di portare il proprio contributo di solidarietà, la prima immagine che ci troviamo davanti è quella di un militare di Nave Etna attorniato dai bambini. Gioca con loro e gli regala qualche caramella. Ci sono anche i ragazzi di Nave Borsini. SI fermeranno a Maputo due mesi, e uno di loro ci dice: “eravamo praticamente tutti disponibili a venire qui. Ci fermeremo un bel po’ di tempo, ci sembra il minimo dedicare il nostro tempo a questi bambini”. “E la franchigia?” gli chiedo, “appena scendi a terra dopo giorni di lavoro e navigazione non preferiresti andare a farti un giro per la città, rilassarti con gli amici?”. “Vediamo spesso in tv documentari e servizi su queste realtà” mi risponde, “ma quando le tocchi con mano, e sai che con poco puoi cambiare la quotidianità di una persona, è impossibile dire di no”.

L’Infantario Primo de Maio è un orfanotrofio atipico. I cinquantatrè bambini presenti sono stati abbandonati o portati qui dalle famiglie perché malati, e la povertà estrema non consente cure. E spesso queste malattie sono considerate una maledizione, come nel caso di John, epilettico. Quasi tutti sono affetti da scabbia e hanno i pidocchi. Qui già un finanziamento del Governo Italiano aveva consentito (nel duemilasei) di costruire l’ambulatorio medico e il refettorio. Vengono sistemati ventilatori, lavatrici, alcuni dei lettini in ferro, zanzariere. Piccoli dettagli che possono fare la differenza in un contesto dalle condizioni igieniche più che precarie.

Inoltre nei tre centri le squadre lavori sono state affiancate da un team sanitario, che ha dato la disponibilità a effettuare visite mediche, e ha fornito i medicinali necessari e di cui le strutture erano prive. Agli ufficiali medici di bordo e ai sottoufficiali infermieri sono stati affiancati gli ufficiali medici e le infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana. Anche in Mozambico le squadre lavori dei volontari della Marina Militare hanno portato il loro contributo. Anche a Maputo hanno lasciato sorrisi, e migliorato la vita di centinaia di bambini.

E infine, come era già accaduto a Mombasa, dove un’altalena era stata costruita a bordo di Nave Etna e poi regalata a una scuola, due vecchie, rotte e arrugginite altalene sono state rimesse a nuovo. Perché, per un bambino, il “diritto al gioco” è fondamentale. Quel bambino timido che avevamo incontrato a inizio giornata sorride, con gli occhi bassi. Emos potrà giocare di nuovo sull’altalena. Ricorderà i sorrisi e l’aiuto inaspettato, la mano tesa di quegli uomini in tuta blu. E, dondolandosi, potrà distrarsi e non pensare alle difficoltà che la vita gli ha messo davanti.

(articolo pubblicato su marina.difesa.it)

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