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Perché NON intervenire in Siria

I paesi europei dovrebbero essere più espliciti nel negare a Obama il loro supporto

Di Gian Maria Volpicelli
Pubblicato il 9 Set. 2013 alle 17:38

Al di là dei digiuni e delle indignazioni naif contro i mercanti di armi, i paesi europei, e in particolare l’Italia, devono assumere una posizione chiara sul progetto di intervento militare in Siria ventilato dall’amministrazione Obama. E questa posizione dev’essere un netto, esplicito, sonoro: “Scordatelo”.

L’idea obamiana di un “intervento limitato” a base di droni e raid aerei per dare uno scrollone di avvertimento al presidente siriano Assad , sospettato di aver gasato la sua gente, è a dir poco sgangherata. Lo spettro delle conseguenze di una simile decisione spazia dall’inutile al disastroso.

Nessun “intervento limitato” nel tempo e nella portata spazzerà via il regime di Damasco, né gli impedirà di lanciare agenti chimici sui dissidenti. Il bluff di Obama – bombardare per costringere il rais siriano a sedersi al tavolo della diplomazia- ha buone probabilità di fallire.

Che cosa farebbe l’America se Assad abbracciasse la linea della resistenza a oltranza?

Potrebbe lasciar perdere, e allora l’intervento in Siria passerebbe alla storia come un fiasco memorabile, una pantomima che rafforzerebbe Assad e i suoi sponsor russi e iraniani.

Oppure Obama potrebbe evocare il Lyndon Johnson che è in lui, e, pur di difendere la reputazione del gigante a stelle e strisce, decidere di fare sul serio e iniziare un’operazione di guerra che farebbe sembrare l’Iraq – o l’Afghanistan, o il Vietnam- una passeggiata. Il tutto con un fronte domestico ostile all’intervento, un esercito recalcitrante, le spade di Damocle degli alleati di Assad e la brutta situazione di trovarsi a dover scegliere fra un regime sanguinario e una guerriglia che include terroristi e brutti ceffi fra i più pericolosi del Medio Oriente. Uno scenario fantabellico, che speriamo non si avveri mai.

Ritengo superfluo spiegare perché le nazioni europee dovrebbero evitare che si concretizzi l’opzione numero due; ma è importante precisare che dovrebbero rifuggire anche l’ “intervento limitato”.

Se Obama vuole bombardare la Siria come (inutile) atto simbolico di punizione, faccia pure. Non è da ieri che l’America si atteggia a vigilante mondiale, e usa i missili per far capire chi è il capo. E , dopotutto, più che la famigerata “norma internazionale” sull’uso delle armi chimiche, qui in gioco c’è la credibilità di Washington e delle sue “linee rosse”.

Il continente europeo, attraversato da una crisi economica debilitante e ammorbato dalla disoccupazione, ha invece il dovere morale, verso i suoi cittadini, di restarne fuori.

L’Europa, e con lei l’Italia, non può più permettersi di reggere il gioco agli States. Non è più il caso di bruciare miliardi sull’altare del buon nome dell’Occidente – o dei lauti guadagni delle grandi imprese abituate a collettivizzare le perdite e fagocitare i guadagni. E’ uno di quei casi in cui la scelta intuitivamente giusta (dare una bastonata ad Assad) non coincide con la scelta più saggia.

L’ultima campagna militare che l’Italia ha combattuto al fianco degli Stati Uniti , in Libia (prima dell’incubo spread, prima della “cura Monti”) costò allo Stato 700 milioni di euro. Secondo le stime del capo di stato maggiore statunitense, Dempsey, fare la voce grossa in Siria minaccerebbe di essere molto più costoso: per l’America, un miliardo di dollari al mese.

Quante scuole, quanti laboratori, quante borse di studio si potrebbero finanziare rifiutando di saltare sul carro di Obama ? Quante linee C della metropolitana di Roma? E’ un caso che la prima economia europea – la Germania – abbia regolarmente passato la mano quando si trattava di guerreggiare, che fosse in Iraq, in Libia o, adesso, in Siria?

E forse lasciar da sola l’America, è il modo migliore per dare un segnale a un presidente che ha tradito tutte le speranze che erano state riposte in lui. Che maciulla i pakistani con i droni senza far differenza fra combattenti e civili; che usa Google come il suo braccio armato nel cyberspazio e Internet come banca dati per schedare la popolazione mondiale; che bracca gli Snowden, condanna i Manning, costringe alla reclusione gli Assange. In spregio al suo ridicolo Nobel per la Pace.

E forse, checché se ne dica, l’Europa potrebbe provare a dimostrare che il tempo della diplomazia non è scaduto. È difficile, ma è questo l’unico schema possibile.

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