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Nymphomaniac Vol I

Un capolavoro drammatico tra eros e thanatos

Di Blog Fandango
Pubblicato il 8 Apr. 2014 alle 15:14

Solo chi non conosce Lars Von Trier può pensare che Nymphomaniac sia un porno d’autore o, come ha detto Tinto Brass, un porno mancato. Fin dalle prime scene ci rendiamo conto di essere di fronte a un grande dramma: riprese ossessive e teatrali dei particolari del vicolo in cui Seligman (Stellan Skarsgård), distinto signore di mezza età, trova Joe (Charlotte Gainsburg), distesa sull’asfalto innevato con segni visibili di percosse.

La storia si srotola come un racconto dai risvolti psicanalitici che Joe rivolge al suo salvatore, ricordando gli episodi, costruiti come cortometraggi, ciascuno drammaturgicamente strutturato e chiuso, che l’hanno condotta alla ninfomania. Strutturalmente dunque ricorda il tarantiniano Kill Bill. La colonna sonora dei Rammstein corona musicalmente quello che appare sin dalle prime scene come un capolavoro. La giovane Joe è interpretata dalla modella Stacy Martin. Il rapporto edipico con il padre (Christian Slater) e di conseguenza con la madre (Connie Nielsen), fredda e bergmaniana, ricorda infatti la madre di Sinfonia d’autunno. Poi c’è l’amicizia con B. (Sophie Kennedy Clark), sin da bambina sua complice e giocosa avversaria in furenti sfide erotiche ai limiti del paradosso; il rapporto brutale e dai tratti favolistici con Jerome (Shia LaBeouf), l’uomo a cui, appena quindicenne, chiede di prendere la sua verginità e che sembra essere l’unico appiglio sentimentale cui la protagonista realmente sia legata, se pure in una forma costante di umiliazione e delusione.

La vera forza del film sono i personaggi, forbitamente caratterizzati e ognuno a suo modo indispensabile. Potentissima è l’entrata in scena di Uma Thurman, nei panni di donna tradita e delirante, Mrs. H., che in un mini psicodramma familiare, dinanzi a Joe e al marito perduto a causa sua, usa i propri figli come arma contro il marito-padre adultero. Al di là dell’impeccabilità drammaturgica, il film è carico di quella mimesi emotiva, miscuglio di eros e thanatos, che ha contraddistinto anche gli altri due film precedenti della trilogia della depressione: Antichrist e Melancholia. Vicino ad Antichrist per una visione filosofica di netta contrapposizione tra natura, femmineo, istinto, e cultura, maschile, ragione, che ritroviamo nell’idealismo di Shelling e in certo esistenzialismo di matrice Kierkegaardiana.

Probabilmente questo scatenerà l’ira delle femministe ma non si può giudicare un film o un autore per le sue idee morali o filosofiche. Il genio è tale quando riesce a convincerti anche e soprattutto affrontando temi e teorie che non ti sono familiari. Al livello di immedesimazione e coinvolgimento emozionale, Trier è imbattibile. Vincente è anche la scommessa di coniugare aspetti naturalistici, onirici, filosofici, musicali, biologici e matematici – la pesca con la mosca, la polifonia di Bach, la sequenza numerica di Fibonacci.

Per avere una distribuzione su larga scala, la produttrice Louise Vesth ha da subito detto che il film sarebbe uscito in diverse versioni, in modo da andare incontro alle strategie distributive e alla censura di ogni Paese. Di Nymphomaniac esistono la versione integrale di 5 ore e mezza e quella tagliata di 4 ore. Un vero peccato che il film in distribuzione ora nelle sale italiane sia censurato, difatti prima dell’inizio compare la scritta “Questa è la versione ridotta e censurata di Nymphomaniac. Lars Von Trier l’ha approvata ma non l’ha realizzata”. Dovremo aspettare qualche mese per la versione integrale, anche se sul fatto che possa in parte trattarsi di un artificio pubblicitario i dubbi non mancano.

di Ilaria Palomba

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