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Ma quale modello tedesco…

La finale di Champions è frutto del caso e del trionfo del gioco di squadra

Di Nicola Sbetti
Pubblicato il 24 Mag. 2013 alle 22:22

Bayern Monaco – Borussia Dortmund come trionfo del “modello tedesco“? Nulla più che una semplice trovata giornalistica.

Sgombriamo subito il campo da equivoci. Fra tutti i “modelli calcistici” espressi dal continente europeo, quello tedesco è senza dubbio il compromesso meglio riuscito tra: competitività internazionale, sostenibilità economica, seguito di pubblico e incertezza del risultato finale. Un’equa redistribuzione dei diritti televisivi, la presenza di una forte componente popolare all’interno delle società con compiti di controllo attivi, un’oculata politica dei prezzi in stadi accoglienti e la lungimirante riforma post Euro 2000 sui vivai, hanno contribuito a creare un mix vincente che dall’Italia guardiamo giustamente con invidia. In questo senso però il sistema tedesco di fronte all’indebitato campionato inglese, all’iniquo modello spagnolo, all’ancora scialbo torneo francese o alla declinante serie A italiana aveva da tempo mostrato la propria superiorità.

La Champions League tuttavia non può essere considerata come un criterio di valutazione per giudicare un “modello”. Sono davvero troppe le variabili che entrano in gioco nel massimo torneo calcistico continentale, basti pensare che nell’edizione che si concluderà sabato i campioni in carica del Chelsea (poi vincitori dell’Europa League) sono stati eliminati al primo turno. 

E se nel ritorno contro il Malaga il guardialinee avesse alzato la bandierina? … e se il Manchester avesse battuto il Real? … e se il sorteggio fosse stato diverso? Probabilmente parleremmo di un’altra finale. Ma se è vero che con i se e con i ma non si fa la storia è altrettanto evidente che nel corso di una competizione così incerta il caso gioca un ruolo non irrilevante. Le squadre inglesi, per esempio, pur non avendo piazzato nemmeno una squadra ai quarti di finale, restano indubbiamente fra le più competitive al mondo.

Se proprio vogliamo etichettare questa finale, la si potrebbe celebrare come il trionfo del gioco e dello spirito di squadra. Per ragioni estremamente diverse infatti tanto il Bayern quanto il Borussia fanno del collettivo un cardine centrale della propria identità.

Heynckes, enfatizzando sulle due finali perse in tre anni, è riuscito a trasformare un gruppo di campioni egoisti e svogliati in una “macchina da guerra” apparentemente perfetta. Esemplare in questo senso la trasformazione delle “primedonne” Robben e Ribery in “soldatini” sempre pronti a sacrificarsi in copertura. Nel Bayern tutti sembrano entusiasti di cooperare allo scopo di raggiungere l’unico obiettivo possibile: la vittoria.

Anche il Borussia, pur con qualche fisiologica flessione, si muove sul campo in maniera armoniosa; tuttavia fra i gialloneri lo spirito di squadra è una filosofia di gioco dettata soprattutto dalla necessità. Klopp, che annualmente deve rinunciare per ragioni di bilancio ai propri migliori elementi, si è costruito in casa i talenti del futuro, inserendoli gradualmente in un collettivo rodato.

Il Real Madrid e il Barcellona, Cristiano Ronaldo e Messi dipendenti, sono state letteralmente annichilite dall’idea di gioco collettiva espressa dai due club tedeschi. La finale di sabato sarà una sfida fra due squadre speculari; la loro tuttavia non è un’idea di gioco esclusivamente tedesca. Juventus e Shakhtar Donetsk hanno proposto un calcio molto simile a quello delle due finaliste e forse non è un caso che solo di fronte ad esse abbiano dovuto arrestare la propria corsa.

Sulla carta non c’è storia. Dopo una stagione in cui ha espresso un dominio assoluto tanto in Germania quanto in Europa, il Bayern Monaco è il favorito d’obbligo, ma la storia del calcio è piena di Davide che battono Golia e se su Wembley si ripresentassero gli spiriti di Madrid 2010 e Monaco 2012… 

 

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