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Le gated communities

Alla scopertà delle città murate di oggi

Di Stefano Mentana
Pubblicato il 3 Ott. 2013 alle 13:01

Quando si parla di città cinte da mura, spesso pensiamo a tanti suggestivi centri medioevali che, ancora oggi, conservano il loro antico apparato difensivo. Eppure, questo tipo di comunità, ancora oggi esiste. Le gated communities – così sono dette quelle zone che hanno un accesso controllato – sono un po’ ovunque: negli USA, in Sudamerica, in Australia, e, seppur meno, anche in Europa. A volte sono quartieri, altre vere e proprie città, talvolta hanno solo gli accessi controllati, altre vere e proprie cinte murarie.

Queste comunità nascono per ragioni varie, ma sempre con il medesimo comune denominatore: creare una comunità che sia caratterizzata da un unico, specifico capitale sociale e preservarla da ogni mescolamento con l’ambiente esterno.

Negli Stati Uniti, come abbiamo detto, questo tipo di comunità è molto diffuso, ed ha avuto un forte sviluppo a partire dai primi anni ’60, quando nel Paese si ebbe un vero e proprio boom di associazioni residenziali. Questo boom portò quindi, col passare dei decenni, un gran numero Americani a vivere in comunità associative e tra questi, molti, a stabilirsi in gated communities: il boom fu tale che oggi si stimano oltre 8 milioni di persone, negli USA, che vivono in comunità di questo tipo, mezzo milione dei quali nella sola California. Le gated comunities Statunitensi, dunque, sono abitate principalmente dall’upper class, possono raggiungere anche dimensioni notevoli e generalmente sono considerati luoghi estremamente prestigiosi, munite di un proprio country club o lussuose retirement communities per anziani.

Simile è la situazione in America Latina: in Brasile, infatti, i condominios fechados, come vengono chiamati, sono delle vere e proprie città fortificate, munite di proprie infrastrutture che le rendono autosufficienti e che le rendono un luogo esclusivo, alla portata solo di membri dell’alta società del Paese. Lievemente differente è la situazione in Argentina, dove i barrios privados generalmente non hanno, salvo alcune comunità particolarmente grandi, le infrastrutture presenti nelle omologhe tipologie abitative Brasiliane, cosa che contribuisce a renderle, nell’immaginario collettivo Argentino, come uno status symbol per snobs o nuovi ricchi.

Diversa la situazione in Arabia Saudita: qui, generalmente, le gated comunities consistono nei compounds, e sono fatte apposta per ospitare gli Europei ed i Nord-Americani che, con le rispettive famiglie, si trasferiscono nel Paese per lavorare con le aziende petrolifere. Un caso dunque diverso da quelli descritti fino ad ora, poichè gli abitanti hanno il comune capitale sociale di un determinato lavoro e di una determinata etnia.

In Sud Africa, invece, le gated comunities hanno avuto una grande diffusione in risposta alla crescità del livello di criminalità nel Paese. Costruite da privati, queste comunità possiedono numerose infrastrutture e, come si può immaginare, sono sorvegliate da appositi vigilanti.

Dopo questo breve excursus dal mondo, la domanda nasce probabilmente spontanea: esistono, anche in Italia, esempi di gated comunities? Sicuramente, nel nostro Paese, questo tipo di comunità è molto raro, ma se ne possono trovare alcuni esempi. Uno di questi è l’Isola di Albarella, in Provincia di Rovigo, una piccola isola ad accesso controllato costruita a scopi turistici, alla quale va aggiunta Cascina Vione, in Provincia di Milano, un agglomerato abbandonato che, nel 2011, è stato trasformato in una vera e propria gated community.

Generalmente, quello delle gated communities risulta essere un tema molto controverso: se da un lato i maggiori promotori di esse le elogiano per la protezione dei residenti dal crimine, vengono anche aspramente criticate perchè, in questa maniera, ogni estraneo può essere visto come un malintenzionato e perchè, questo controllo, potrebbe dare solo un falso senso di sicurezza. Queste comuità, che nascono sempre da iniziative private o comunitarie, da un lato possono favorire la creazione di uno spirito di comuità, ma da un altro possono isolare la comunità stessa da ciò che la circonda, causando una frattura sociale la cui diffusione su larga scala può avere risvolti problematici. Per quanto queste comunità nascano per ragioni differenti tra di loro, il comune denominatore tra tutti è creare una comunità chiusa, limitata, rassicurante per chi la abita ma comunque isolata dal contesto in cui vive: un ghetto, dunque, che pur promuovendo spesso un’autoghettizzazione inversa al suo più tradizionale significato, promuove pur sempre una frattura sociale.

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