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LA MORTE NON E’ UGUALE PER TUTTI

Il mancato tempismo dei soccorsi e l'indifferenza delle autorità sono fatali nella corsa contro il tempo per salvare una vita.

Di Elena Prodi
Pubblicato il 7 Nov. 2013 alle 13:31

Il petto nero si gonfia e si sgonfia sotto la pressione del massaggio cardiaco eseguito dalle piccole mani di una giovane ragazza in abito arancione. Il dorso della mano è riverso sul marciapiede. Le dita sono immobili. Un corpulento venditore ambulante di zuppe sposta leggermente il suo carretto per fare spazio ai soccorsi ma continua indifferente a riempire scodelle per dieci reais. In situazioni come queste, Rio non si scompone mai troppo.

E’ un lunedì qualunque alla pietra del sale, nel centro storico di Rio de Janeiro. Duecento anni fa le onde dell’oceano lambivano queste strade, e le pietre e gli scogli assistevano impotenti alla tratta degli schiavi provenienti dall’Africa. In questo stesso luogo i mercanti compravano e vendevano il sale, da cui il nome della pietra, un imponente scoglio ai cui piedi si apre una piazzetta. Oggi, il mare si è ritirato e ha lasciato spazio a case in stile coloniale costruite nel tempo, una addosso all’altra, dai discendenti degli schiavi afro-brasiliani. Alla pietra del sale batte il cuore nero della città e risuonano le note del samba urbano carioca.

Tra le viuzze e gli scogli del quartiere regna un’atmosfera informale. I carretti dei venditori ambulanti sono sistemati a ogni angolo e vendono bibite, caipirinha, zuppe e carne ai passanti. Cani sciolti e randagi vagabondano nei vicoli elemosinando un pezzo degli spiedini arrostiti. Alcune bambine scivolano tra le persone con un vassoio di dolcetti al cioccolato fatti in casa. Le note del samba si mescolano al fumo dei barbecue e al pungente odore di urina proveniente dai bagni pubblici in prefabbricato.

Il clima è rilassato, il chiacchiericcio riempie le pause tra una canzone e l’altra. A interrompere quest’armonia ci pensano le urla di alcuni giovani che si fanno largo tra la folla. Trasportano il corpo esanime di un ragazzo di colore, lo adagiano sul marciapiede e tentano di prestargli i primi soccorsi. “Ha bevuto troppa cachaça!” è la diagnosi, un pò affrettata, di un passante. Un liquore di troppo può costare la vita. Il ragazzo è steso a terra, pressato dalla classica folla di curiosi. Qualcuno chiama un’ambulanza, altri consigliano di avvisare i genitori, ma non è scontato che questo ragazzo abbia i genitori. Sarebbe un copione già visto e rivisto se non fosse che, all’angolo della strada, la polizia è in piedi di fianco alla volante dai lampeggianti accesi e fissa immobile la scena. Nessuna delle autorità si scomoda per intervenire, nessuno muove un passo, nemmeno per umana pietà. Almeno il samba ha smesso di suonare, per rispetto.

Il tempo scivola e l’ambulanza, chiamata da oltre mezz’ora, non compare. Quelle che da manuale dovrebbero essere pratiche di primo soccorso diventano col passare dei minuti gli unici tentativi possibili di mantenere in vita il giovane. Un’ossuta signora di colore è seduta per terra intenta a consumare il suo pasto sul marciapiede. Ha le gambe raccolte al petto e osserva la scena gracchiando: “Le rimesse dell’ambulanza sono lontane da qui, il traffico della città non le farà mai arrivare in tempo”.

Quando, dopo molte insistenze, una ragazza convince la polizia a trasportare il giovane al più vicino ospedale, ecco finalmente lampeggiare le sirene di un furgone. Scendono i volontari che smontano con rapidità una barella e un respiratore artificiale. Sul cofano del furgone brilla, in bianco, la scritta “bombeiros”. Sono i pompieri, inspiegabilmente arrivati a sostituire l’ambulanza. La barella rimane vuota, parcheggiata a un lato del marciapiede, e il respiratore artificiale resta inutilizzato. Anche per colpa dell’intervento intempestivo, un cuore nero si è fermato.

I giorni successivi, nessun giornale riporta la notizia, nessun cenno all’accaduto nemmeno nei quotidiani locali. Forse a Rio de Janeiro la vita assume un valore differente. Forse, col tempo, gli abitanti hanno imparato a familiarizzare con la morte che è accettata con più facilità e, altrettanto rapidamente, dimenticata.

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