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L’ONU, la Chiesa e la pedofilia

Sulle questioni sollevate da una commissione delle Nazioni Unite arrivano, a Ginevra, le risposte della Santa Sede

Di Raffaele Buscemi
Pubblicato il 12 Mag. 2014 alle 15:20

Prosegue a Ginevra il 52.mo Comitato delle Nazioni Unite sulla Convenzione contro la tortura (finirà il 28 maggio con l’udienza finale) e l’esame del rapporto della Santa Sede sul rispetto della Convenzione internazionale del 1984 (a cui lo stato Città del Vaticano ha aderito nel 2002).

L’incontro è stato in realtà una occasione per la Santa Sede di rispondere alle diverse accuse (qui il testo originale in inglese) mosse da un organismo dell’Onu.

Il Comitato ha chiesto, sostanzialmente, alla delegazione della Santa Sede di fornire informazioni su diversi casi di abusi sessuali nella Chiesa, segnalati da organizzazioni non governative in diversi paesi, ma anche di esprimersi sul divieto assoluto dell’aborto. Aveva inoltre richiesto di modificare il diritto canonico per rendere più facile punire i colpevoli.

Ieri è arrivata la risposta di monsignor Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra che ha confermato come la Convenzione contro la tortura è uno «strumento valido e adeguato per combattere atti che costituiscono una grave offesa alla dignità dell’essere umano», come anche ribadito durante una intervista rilasciata a Radio Vaticana, dove ha anche definito l’incontro come «un dialogo costruttivo in cui si sono potute fare precisazioni importanti».

All’incontro, mons. Tomasi è arrivato con qualche dato sull’impegno della lotta della Chiesa contro gli abusi: dal 2004 alla fine del 2013 la Chiesa ha ridotto allo stato laicale 848 sacerdoti, punendone più lievemente 2.572 su un totale di sacerdoti che nel mondo vanno dalle 405.067 unità del 31 dicembre 2001 alle 413.418 del 31 dicembre 2011. Numeri in linea con quanto analizzato in altri articoli di testate come il “The Guardian” o l’ “Associated Press”, che riconoscevano alla Santa Sede un certo impegno nella lotta agli abusi.

Il delegato della Santa Sede ha usato alcune cifre anche per spiegare come la Chiesa sia vicina alle vittime degli abusi, senza cercare di nasconderle: per quanto concerne il compenso alle vittime, un esempio è quello degli USA. Tenendo conto che i presunti abusi sui minorenni raccolti tra il 1950 e il 2002 negli Stati Uniti erano 10.667, e non centinaia di migliaia di casi come alcune fonti hanno riportato, la Chiesa di quel Paese ha pagato 572.5 milioni di dollari per spese legali e di trattamento e inoltre, come compensazione alle vittime, più di 1.3 miliardi di dollari fino ad oggi.

Questi dati sono contenuti in un dettagliato documento che la Santa Sede ha presentato all’audizione, nel quale si replica punto per punto alle questioni sollevate del Comitato del Cat. Per esempio, alla questione numero quattro, quella in cui si invitava la Santa Sede a cambiare posizioni sull’aborto, mons. Tomasi ha risposto giocando in attacco:

“La Santa Sede vuole evitare come richiede la Convenzione che i bambini vengano torturati e uccisi prima di nascere. Per esempio in Canada tra il 2000 e il 2011, 622 bambini nati vivi dopo un aborto sono stati lasciati morire come pure 66 nel Regno Unito nel 2005. Alcuni metodi di aborto ritardato costituiscono tortura specialmente nel caso detto “dilatation and evacuation”: il feto ancora vivo è smembrato per essere tirato fuori a pezzi dall’utero. Inoltre la libertà di opinione e la libertà di credo sono un diritto fondamentale che il tentativo di dettare legge alla Santa Sede chiedendole di cambiare le sue convinzioni viola in maniera diretta. I comportamenti, rispettosi del diritto naturale, liberamente scelti dai credenti, non possono essere interpretati come delle misure che limitano la libertà degli altri. La Santa Sede propone chiaramente una condotta di vita in accordo con la rivelazione divina e la legge naturale, ma in nessun caso impiega la forza o impone coercitivamente le sue convinzioni sugli individui che non vogliano liberamente accettarle”

In definitiva, dopo gli anni di Ratzinger in cui la Chiesa, per varie inefficienze comunicative, si è limitata a rispondere alle accuse si sta passando con una certa velocità a una comunicazione più aggressiva e basata più sui numeri dell’impegno della Santa Sede alla lotta agli abusi che a giustificazioni di carattere canonico sul perché, per esempio, non tutti i preti accusati vengono ridotti allo stato laicale. I due grandi temi di attacco al Vaticano degli ultimi 5 anni, trasparenza economica e pedofilia, sembrano così perdere di colpo tutta la loro virulenza.

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