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L’apartheid di Mugabe

Nello Zimbabwe dal 2014 saranno precluse ai bianchi molte attività commerciali

Di Ernesto Clausi
Pubblicato il 23 Nov. 2013 alle 20:00

Vuoi tagliarti i capelli, andare dall’estetista o più semplicemente comprare il pane nello Zimbabwe? Dal prossimo anno potrai rivolgerti solo a persone di colore. E’ una delle nuove misure economiche annunciate dall’amministrazione del Presidente Mugabe.

Tra un mese infatti gli imprenditori e i commercianti di numerose aziende straniere operanti nell’ex Rhodesia dovranno chiudere bottega. Pena l’arresto.

L’Indigenisation and Economic Empowerment Act stabilisce che in quelli che sono stati classificati come settori riservati dell’economia potrà operare solo chi sarà in possesso dell’indigenisation compliance certificate, ovvero chi nello Zimbabwe è nato. La legge prevede inoltre che il controllo delle società straniere passi nelle mani di imprenditori locali, per garantire un continuum nell’esercizio delle attività economiche del Paese ed evitare una carenza di prodotti.

I settori interessati dalla riforma sono molteplici: non potrà essere straniero chi possiede una panetteria, un salone di bellezza, un’agenzia di lavoro, pubblicitaria o immobiliare, chi si occupa di marketing e distribuzione dell’artigianato locale, e ancora chi opera nel settore agricolo e del tabacco.

Proprio l’agricoltura è stata oggetto negli anni passati di un’ampia riforma, che nel tempo si è rivelata fallimentare e ha contribuito al collasso dell’economia del Paese. Nel quadro della sua lotta contro l’imperialismo occidentale, e in chiave anticoloniale, Mugabe ha proceduto alla confisca di terre in mano ai bianchi. Ma l’amministrazione di Harare si è servita di questa riforma per colpire, oltre che la popolazione bianca, anche l’opposizione politica e per il conseguimento di vantaggi personali (in particolare della famiglia di Mugabe). Gli effetti sono stati disastrosi. La produzione è crollata vertiginosamente. Nel 2009 lo Zimbabwe ha addirittura dovuto abbandonare la propria valuta nazionale.

Dopo l’agricoltura dunque Mugabe punta forte sull’ “indigenizzazione” del settore economico e continua a perseguire la sua politica protezionistica. Il Presidente si è confermato quest’anno al potere per il settimo mandato tra contestazioni e brogli. Egli ritiene che le sue politiche debbano riequilibrare le distorsioni frutto della dominazione coloniale. E contenere la penetrazione economica straniera, in particolare cinese e nigeriana.

Ma il rischio è che ancora una volta a trarre vantaggio da queste misure sia solo un piccolo manipolo di imprenditori vicini allo Zanu-Pf, il partito di Mugabe, e all’esercito. Come è già successo con la riforma agraria e con l’occupazione delle miniere di diamanti di Chiadzwa. Inoltre una politica di protezionismo in senso assoluto e anticoncorrenziale non tiene conto del processo di globalizzazione che ha investito anche il continente africano, e non potrà che favorire un rincaro dei prezzi a danno degli stessi cittadini.

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