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In memoria di un eroe

Continua la leggenda di Ayrton Senna, il tre volte campione del mondo di Formula 1, a vent’anni dalla morte

Di Lavinia Orefici
Pubblicato il 2 Mag. 2014 alle 08:42

Sembrava un gioco tra amici-nemici, tra ragazzi già grandi cresciuti in fretta alla scuola della Formula 1. Nulla di ciò che li circondava pareva potesse distruggere i loro sogni da campione. Erano ventisei piloti a sfidarsi sulle piste del mondiale e di tutti, lui, Ayrton Senna, era il migliore. Non aveva bisogno di leggerlo sui giornali o ascoltarlo in televisione, lo sapeva da sé.

Quel giorno, sul circuito di Imola, però, tutte le certezze erano cadute, la morte di Ratzenberger il sabato precedente, il suo zero in classifica dopo le prime due gare andate a vuoto e quella Williams che non rispondeva come voleva lui ai suoi ordini…

Ayrton si apprestava al suo 161esimo GP dopo una notte insonne, dovuta soprattutto alla tragedia del sabato, ma anche alla discussione con il fratello Leonardo sulla sua fidanzata Adriane Galisteu e certe telefonate che la riguardavano.

Per lui l’appuntamento con il destino era fissato al settimo giro del Gran Premio, alle 14:17 del primo maggio, alla curva del Tamburello, nello stesso punto esatto in cui qualche anno prima si affacciò con Gerhard Berger, il suo compagno di squadra in McLaren e amico fidato, per vedere se era possibile spostare quel muretto così pericolosamente vicino alla pista. Dietro c’era il fiume. Rassegnati si scambiarono un’occhiata: “C’è il fiume, non si può fare niente!”. Una chicane non gli venne in mente.

Dei minuti successivi allo schianto, che lasciò con il fiato sospeso milioni di telespettatori, si ricorda soprattutto la grande confusione, la difficoltà nelle comunicazioni e l’attenzione dei telecronisti a misurare le parole da pronunciare, capaci di regalare una speranza o di spezzare un sogno.

Il campione venne soccorso. Un elicottero partì alla volta dell’ospedale Maggiore di Bologna con Ayrton ferito a bordo. Sid Watkins, responsabile medico del Gran Premio e amico del brasiliano, ricevette sulla radio una chiamata del capo ufficio stampa della Fia, Martin Whitaker, che voleva sapere le condizioni fisiche del pilota per riferirle a Bernie Ecclestone, il boss della Formula 1. Rispose che il problema era alla testa (head in inglese), ma a causa del gracchiare della radio, Whitaker capì “dead”, morto. Nel motorhome scese il gelo. Ecclestone, uomo pragmatico quanto intelligente, sapeva già quali sarebbero state le conseguenze di una simile tragedia. Il fisioterapista di Senna, Joseph Leberer, smentì la morte del pilota, ma le condizioni erano drammatiche perché un pezzo della sospensione si era infilata come una lama nel casco.

La corsa proseguì e finì con la vittoria di Schumacher, che sul podio festeggiò. Poi, per scusarsi, disse che non sapeva della lotta di Ayrton per sopravvivere.

Intanto all’ospedale erano arrivati Ecclestone e le persone più vicine al campione, tra cui Berger, così diverso da lui, abituato a stare nella sua ombra senza batter ciglio perché la figura di Ayrton oscurava tutti.

Il primario della rianimazione Maria Teresa Fiandri disse loro che non c’erano speranze. Il pilota era tenuto in vita da una macchina e, se lo avessero voluto vedere un’ultima volta, avrebbero dovuto farlo subito.

Alle 18:40 la dottoressa annunciò in mondovisione la morte di Ayrton Senna.

Per il Brasile è stato un lutto indescrivibile. Il paese, con un livello di povertà tra i più elevati al mondo, vedeva in lui un eroe nazionale. Oltre al campione sportivo, c’era l’uomo, diviso tra misticismo e realtà, concreto ma molto chiuso, mai banale, che sapeva divertirsi ma anche soffrire di saudade. Aiutava anonimamente organizzazioni benefiche perché pensava che i ricchi non potessero vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà.

Per le strade di San Paolo seguirono il feretro verso il cimitero di Morumbi, dove Senna venne sepolto, milioni di persone incredule che il loro sogno fosse svanito. Il funerale che seguì fu degno di un Capo di Stato e la Formula 1 cambiò per sempre.

C’era più sicurezza, più regole, ma soprattutto meno protagonisti.

La leggenda di Ayrton Senna, il migliore di sempre, continua e la sua eredità resta indivisa.
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