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Il tocco del peccato

L'occhio di un regista che non teme di inquadrare gli orizzonti umani dietro le mura del Partito Comunista Cinese

Di Blog Fandango
Pubblicato il 20 Feb. 2014 alle 15:35

 

Il premio per la miglior sceneggiatura del Festival di Cannes 2013 è andato ad una piccola enciclopedia dei rapporti sociali della Cina contemporanea.
Da un punto di vista antropologico la rappresentazione di lavoro, denaro, famiglia e amore è sconvolgente.
La macchina da presa di Jia Zhangke (già Leone d’Oro alla 63ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2006 grazie a Still Life) segue incessantemente le vite di individui che non riescono a stare dietro alla rivoluzione industriale più vasta e accelerata della Storia.

Ne Il tocco del peccato la messa in scena è pacata, controllata, in contrasto col cambiamento in atto.
Piccola coordinata: uno zuccotto dei Chicago Bulls ruba la scena all’iconografia maoista, letteralmente disintegrata nella cultura popolare suggerita.
Il lavoro del regista oscilla costantemente fra documentario (Dong, 24 City) e fiction, ma quest’ultima non sembra che una piccola concessione per inquadrare meglio un formicaio umano senza fine, esattamente come il teatro tradizionale che nel film fa eco alle vicende narrate.
Questa ambiguità di fondo non è che la conferma della natura artistica di quel che è stato il suo lavoro precedente, a partire dal sopraccitato Still Life, dove il tema centrale era lo stupro ingegneristico di ambiente e comunità.

Jia Zhangke appartiene al movimento della cosiddetta Sesta Generazione, nata sotto le politiche statali di censura piombate sul paese in seguito alla protesta di Piazza Tiananmen (1989). Questo contesto produttivo ha imposto budget limitati e stimolato l’uso di pellicola 16mm e di video digitale, nonchè l’impiego di attrici e attori non professionisti.
Il parallelo stilistico col Neorealismo è palese, così come la distanza dalla precedente generazione di autori (Zhang Yimou, per fare un nome).
Sebbene a partire da The World (2004) i suoi film siano stati regolarmente approvati dal governo e distribuiti in patria, il 2013 è stato un anno di stallo decisionale per gli uffici della propaganda del Partito Comunista Cinese. I temi trattati nel film (beni comuni, comunità rurali, industria, diritto del lavoro, prostituzione) sono evidenti tabù, ma il passaggio nelle sale cinematografiche non farebbe che testimoniare un piccolo ma importante passo verso la libertà di espressione in uno Stato complesso e contraddittorio come quello in questione.

 

di Alberto Rafael Colombo Pastran

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