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Il Club dei Presidenti

I soci si contano sulle dita di una mano, al massimo due: è il circolo più esclusivo del mondo

Di Lavinia Orefici
Pubblicato il 27 Apr. 2013 alle 16:46

“Credo che dovremmo organizzare un club per gli ex Presidenti” suggerì Herbert Hoover. “Bene, tu sarai il presidente e io il segretario” replicò Harry Truman.

Era il 20 gennaio 1953 e mentre Dwight Eisenhower prestava giuramento sulle scalinate del Campidoglio come trentaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America i suoi predecessori fondavano il circolo più esclusivo del mondo, ‘The Presidents Club’.

Inizialmente nacque più come un’idea che un’istituzione, una sorta di salotto, unico nel suo genere, dove poter scambiare opinioni, discutere di temi politici e consigliare al meglio il comandante in carica alla guida del Paese. L’esperienza è un bene che va condiviso per non ripetere gli stessi errori del passato e da questa base partiva il sodalizio che abbatteva le ideologie nell’interesse degli Stati Uniti.

Che gli ideatori del club siano stati Hoover e Truman non è assolutamente un caso, ma il risultato di una collaborazione vincente tra il repubblicano predecessore di Roosevelt e il democratico che, fra l’altro, dovette anche risollevare le sorti economiche dell’occidente alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Truman, da poco insediato nello Studio Ovale, si trovò ad affrontare la terribile carestia che aveva colpito l’Europa e siccome le obiezioni dei suoi consiglieri erano parecchie si rivolse a Herbert Hoover per un aiuto, invitandolo a tornare alla Casa Bianca dodici anni dopo l’addio.

Da quell’incontro nacque un forte sodalizio, proseguito negli anni, grazie ai saggi consigli di Hoover ascoltati e seguiti dal presidente Truman. Mesi dopo, in una conferenza stampa congiunta a Il Cairo nel ’46 dissero: “Salvare vite umane è molto più della ripresa economica, fa parte della ricostruzione morale e spirituale del mondo.”

Questa collaborazione, forte e di successo, tra passato e presente, tra opposti anche nemici, repubblicano uno, democratico l’altro, è tuttora la carta vincente del leader in carica nel mondo libero. Nel 1951 l’idea del club valse loro la terza e la quinta posizione nel sondaggio Gallup per “Uomo più ammirato.”

Ma i legami tra i membri non sono sempre stati idilliaci, anzi proprio il rapporto tra uno dei fondatori ed Eisenhower fu molto travagliato. Ike non partecipò all’inaugurazione della libreria dedicata a Truman nel ’57, mandando solo una lettera di congratulazioni e provò addirittura a persuadere Hoover a non assistere all’evento nemmeno lui. Invito totalmente ignorato.

La vendetta di Truman arrivò qualche anno dopo quando fu il turno di Eisenhower di costruire la propria libreria e chiese udienza al rivale per ricevere consigli. Lasciando l’ufficio Ike chiese: “Devo firmare il libro degli ospiti?”. La risposta segnò la rottura totale tra i due: “Certo, così se manca qualcosa sappiamo chi andare a cercare”.

Oggi, invece, rapporti cordiali intercorrono tra il clan dei Bush e Bill Clinton. Si sono consigliati al meglio e hanno partecipato a ogni inaugurazione dei musei che raccontano la storia del loro mandato. Nel novembre del 2004 durante l’apertura della libreria di Clinton, Bill e Bush senior si intrattennero talmente a lungo che un impaziente George W., allora presidente in carica, disse: “Dite al quarantuno e al quarantadue che il quarantatré ha fame.”

Passarono altri quattro anni, prima di un nuovo incontro. Nel gennaio 2009 W. convocò tutti i suoi predecessori alla Casa Bianca per raccomandare al meglio il futuro comandate in capo, Barack Obama.

Il 25 aprile scorso a Dallas i cinque membri viventi del club Jimmy Carter, George H. W. Bush, Bill Clinton, Barack Obama e George W. Bush, l’ultimo padrone di casa nel suo museo, si sono ritrovati insieme ancora una volta.

Il repubblicano George, dopo un silenzio lungo quattro anni è riapparso sulla scena pubblica rivendicando il valore delle proprie scelte fatte all’indomani dell’11 settembre: “Ho difeso nel modo che ritenevo giusto i valori in cui credo, soprattutto la libertà.”

Con il museo di Dallas, appena inaugurato tutti coloro i quali hanno giudicato, criticato e marchiato George W. Bush come il peggior presidente americano della storia moderna, adesso potranno rivivere i suoi otto anni trascorsi alla Casa Bianca scegliendo cosa avrebbero fatto al posto del presidente nei momenti chiave dei due mandati e così, forse, la storia lo rivaluterà.

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