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Ida

Un imperdibile film d'autore

Di Anna Giurickovic Dato
Pubblicato il 3 Apr. 2014 alle 14:15

Ida è la perla del regista polacco Pawel Pawlikowski, che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero nel 2015.

Si era già aggiudicato il Premio Fipresci all’ultima edizione del Toronto Film Festival e il Best Film Award al London Film Festival 2013.

È una pellicola in bianco e nero e racconta di una novizia alla ricerca della propria identità e delle proprie radici, che scopre di essere una sopravvissuta all’Olocausto.

Ida, orfana, è cresciuta in convento e non conosce altro se non le quattro mura tra le quali si svolge la vita comunitaria. Poco prima di prendere i voti viene mandata dalla suora superiora a conoscere l’unico membro della famiglia che le è rimasto, sua zia Wanda.

Wanda (Agata Kulesza) è un magistrato militante nella Polonia comunista anni Sessanta ed è sfrontata, libertina e alcolizzata. L’incontro tra le due inizia con il rifiuto l’una dell’altra, ma si risolve in una grande affinità.

Insieme iniziano la ricerca di una tomba, dei suoi come e dei perché, per ritrovare una grande parte di sé. Non c’è demonizzazione né antagonismo, ma una inquietante realtà dove è tenue, persino invisibile, il confine fra il debole e il forte, fra la vittima e il prevaricatore. La banalità del male è così spiegata da poche immagini, una terrificante strage che è divenuta una responsabilità sociale.

Nello stridore fra i due personaggi dimora la potenza di questo film, consentendo alla sceneggiatura di essere essenziale, svelta e pungente.

Agata Trzebuchowska, Ida, viene scoperta in un bar di Varsavia ed entra per la prima volta nelle vesti d’attrice. Notevolissimo il taglio fotografico di Lukasz Zal che richiama il cinema di Bresson, le inquadrature non sono mai scontate ma neppure si risolvono in un eccesso di compiacimento.

Il contrasto sonoro fra i silenziosi interni del convento e la fresca stagione musicale Polacca gioca un ruolo fondamentale nel rendere vivo il dubbio che attanaglia la protagonista: il silenzio del profondo o la felicità terrena?

La narrazione opera un totale ribaltamento di ciò che era destinato alla staticità, ma c’è da chiedersi se il finale aperto vada poi nella direzione dell’involuzione o se, invece, costituisca il primo passo verso una maggiore autocoscienza.

Un film imperdibile, dunque, per la tensione e l’intensità della storia, per il profondo significato di un viaggio iniziatico e la raffinatezza tecnica. Un film d’autore che mostra un perfetto equilibrio tra forma e contenuti.

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