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Due o tre cose che so di Emile Cioran

Controcorrente e fuori dai giri accademici, lo scrittore rumeno non è un pessimista cronico come molti credono

Di Carlos D'Ercole
Pubblicato il 7 Gen. 2013 alle 12:04 Aggiornato il 27 Nov. 2018 alle 11:06

Due o tre cose che so di Emile Cioran

Ogni volta che qualcuno professa odio verso una persona mi torna utile l’insegnamento di Cioran: prendi una penna e scrivi infinite volte sulla pagina il nome della persona che dici di odiare, vedrai che alla fine il tuo sentimento ostile sparirà.

Cioran arriva a 27 anni a Parigi dalla Romania con una borsa di studio per scrivere una tesi di dottorato su Nietzsche, non combina un bel nulla e si mette a girare la Francia in bicicletta. A quasi 40 anni è iscritto ancora alla Sorbona, mangia alla mensa studentesca e consuma il suo tempo leggendo Schopenhauer.

Felicemente improduttivo e fuori dai giri accademici, capisce che per essere letto deve abbandonare il romeno e scrivere in francese. Diventa in poco tempo un classico, affidando al suo editore Gallimard volumi di aforismi dai titoli molto incoraggianti: Al culmine della disperazione, Il funesto demiurgo, La caduta nel tempo, Sillogismi dell’amarezza, Squartamento, L’inconveniente di essere nati.

Nella vulgata del giornalismo culturale e filosofico Cioran è il nichilista per eccellenza, l’apolide ossessionato dalla morte. Niente di più falso, mi sono riletto le sue interviste tradotte da Adelphi. Altro che pessimismo, sono un’iniezione di vitalità. Se nascere e morire non hanno alcun senso, meglio vivere la vita con distacco e ironia.

Condivido quasi tutto con Cioran: l’insonnia del lettore, l’amore per le biografie, i diari e i carteggi, l’incapacità di leggere romanzi e l’idea che i libri devono essere scritti per ferire, non per compiacere il lettore.

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