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Di proporzionale si può anche morir

Le mutevoli passioni (istituzionali) dei politici nostrani

Di Livio Ricciardelli
Pubblicato il 15 Dic. 2013 alle 19:46

In pochi lo ricordano, ma nel 2007 scattò la “Sarkò-Mania”.

Erano tempi difficili: il governo italiano era sostenuto da una dozzina di formazioni e sigle politiche mentre al Senato, la sorte dell’esecutivo si reggeva su due Senatori di differenza. Il tutto rendeva la politica qualcosa di farraginoso, e il bicameralismo perfetto non aiutava in tutto ciò. Il Presidente del Consiglio Romano Prodi già aveva presentato le dimissioni nel febbraio di quell’anno a seguito della bocciatura di una mozione governativa sull’Afghanistan. Questa lentezza e questo scenario facevano precipitare la popolarità del Capo del Governo e dell’esecutivo tutto.

Nel maggio 2007 invece in Francia Nicolas Sarkozy vinse le elezioni presidenziali. Dopo pochi giorni già avevano nominato un primo ministro (Fillon) e tutto il governo.

Lo scenario sembrava del tutto opposto a quello nostrano. Presi da un’enfasi di tipo semipresidenziale sorsero nel nostro paese saggi, articoli, pamphlet (alcuni a firma Quagliariello, of course) o addirittura associazioni che si richiamano al decisionismo alla Sarkò (tra queste l’indimenticata “Decidere!” dell’allora presidente della Commissione Attività Produttive di Montecitorio Daniele Capezzone, che nel 2009 traghettò la sua creatura tra le accoglienti braccia del PdL). Per chi tra l’altro metteva in cima alla propria agenda politica il tema dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, penso agli ex An, non sembrava vero di poter elogiare Parigi e al tempo stesso sparare sul Professore di Bologna.

Si elogiava dunque un nuovo per elogiare un sistema. Un sistema che ci appariva quanto mai distante dalla nostra triste realtà.

Il tempo passò, la legge elettorale nessuno volle cambiarla (giammai la forma di governo) e lo stesso Nicolas Sarkozy col tempo perse il suo smalto, cambiando tre ministri degli esteri (manco fossimo in Italia) e perdendo le elezioni contro un amico personale di Pierluigi Bersani.

Nonostante tutto in Italia restano i seguaci, i seguaci dei sistema altrui. E dunque l’enfasi proporzionalista in Italia si è sempre concentrata su una sorta di “mitologia teutonica” in cui proporzionale, efficienza e governabilità sono compatibili. Della serie “un altro proporzionale è possibile”.

Ora sarebbe interessante vedere cosa è avvenuto in Germania da settembre ad oggi: si sono tenute le elezioni federali nella seconda metà del mese di settembre: la Cdu/Csu di Angela Merkel ha sfiorato la maggioranza assoluta dei seggi guadagnando tantissimi voti. Ha però perso per strada, sacrificato sull’altare dello sbarramento all 5%, il suo junior partner dell’Fdp. Sono cominciate dunque le trattative per un governo di Grande Coalizione sulla falsariga dei governi Kiesinger-Brandt degli anni ’60 e di quello Merkel-Muntefering (poi Steinmeier) dell’inizio secolo.

Nel frattempo è successo di tutto: il candidato sconfitto dei socialdemocratici si è fatto da parte, il presidente della Spd ha assunto centralità politica, è “nata la stessa” della Kraft che per un momento pareva essere la futura leader della sinistra tedesca, si è tenuto un referendum interno agli iscritti in cui si è sancito l’ingresso dei socialdemocratici nel governo.

Tutte cose molto belle che denotano una certa vitalità all’interno dei partiti politici tedeschi. Peccato che siano passati quasi tre mesi dalle elezioni al nuovo governo, mentre nel frattempo il sistema politico nazionale è cambiato. E di molto.

Questo non tanto per smontare il mito dell’efficienza germanica, me per i riflettere sugli aspetti più controversi legati al sistema proporzionale.

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