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Dalit: senza terra, senza dignità

In India, ogni giorno 4 donne Dalit subiscono violenza. Chiedono maggiori diritti, protezione e accesso alla terra.

Di Action Aid
Pubblicato il 11 Set. 2013 alle 17:52

Terra è identità. Terra è vita. In un paese come l’India, dove il 56,5% della forza lavoro dipende dall’agricoltura, ogni comunità e ogni famiglia dovrebbero avere un appezzamento di terra da poter usare per il proprio consumo o per il commercio. Lo scenario che offre l’India di oggi invece è ben distante da questa visione ideale. Nonostante siano trascorsi anni dall’Indipendenza, il paese non si è ancora dotato di una politica agricola adeguata che tuteli il diritto di ogni individuo a condurre una vita sana e dignitosa.

Il problema non è solo l’impiego delle terre ma anche la loro distribuzione e il fatto che la terra sia concentrata nelle mani di pochi ricchi e potenti. Diverse ricerche condotte da think tank e organizzazioni indipendenti, dimostrano che a pagare il prezzo più alto di questa situazione sono i Dalit e le comunità tribali. Spesso, infatti, la terra è stata loro distribuita ma senza che ne abbiano la effettiva proprietà; in altre occasioni ne sono proprietari ma senza essere in possesso di alcun titolo legale che lo certifichi.

Nell’aprile 2013, migliaia di donne Dalit provenienti da 300 differenti distretti indiani, si sono riunite per chiedere un’unica cosa: terra. Per anni, sono state in silenzio; poi hanno deciso di unirsi e con il supporto di ActionAid e altri movimenti femminili, hanno cominciato a chiedere a gran voce quelle terre, sperando di venire ascoltate dal governo. L’accesso alla terra e alla proprietà è strettamente legato alla tutela di tutti gli altri diritti.

In base ai dati elaborati dalla ricerca di ActionAid, “Legami fra diritto alla terra e empowerment delle donne”, la maggior parte delle donne Dalit possiede piccoli appezzamenti di terra di scarsa qualità con terreno arido o incoltivabile che non costituiscono una risorsa produttiva. Solo il 7% delle donne si sente economicamente stabile. Si percepisce anche una mancanza di supporto e di agevolazioni da parte del governo per la creazione di piccole imprese collettive che, invece, permetterebbero alle donne contadine di condividere risorse e ammortizzare i costi. Il 40% delle donne intervistate ritiene che un pieno accesso, controllo e proprietà della terra consenta loro e alle rispettive famiglie di combattere meglio la fame e di raggiungere un buon livello di sicurezza alimentare.

In questa lunga battaglia intrapresa dalle donne Dalit, quella di Geeta è una storia a lieto fine. Madre di due figlie e moglie di un uomo senza lavoro, la ragazza vive in un villaggio Dalit nel quale numerose famiglie hanno preso coraggio e si sono impossessate delle terre a loro destinate ma che erano sotto il controllo della casta dominante. Anche Meena, giovane mamma single, ha una storia simile: “Abbiamo coraggio ora, e questo coraggio ci viene dalle carte che testimoniano che siamo i proprietari di queste terre. Ora non dobbiamo più correre a coprire e nascondere gli animali quando vediamo arrivare nel nostro villaggio gli uomini della casta dominante. Adesso, sappiamo che il sangue e il sudore che versiamo ogni giorno sui nostri campi, darà un giorno un futuro ai nostri bambini”. Dalle parole di Meena, si evince l’importanza che la terra ha nella vita delle giovani Dalit: non solo fonte primaria di sopravvivenza ma vero e proprio strumento imprescindibile per la costruzione di un futuro più giusto.

Un futuro che molte ragazze Dalit non hanno più perché spezzato dalla brutalità della violenza: secondo il National Crime Record Bureau, più di quattro donne Dalit sono vittime di violenze ogni giorno e si tratta di dati sottostimati. L’ultima drammatica notizia di cronaca risale alla fine di agosto, quando è stato ritrovato il corpo – mutilato e con evidenti segni di violenza sessuale – di una giovane ventenne Dalit. Da quel giorno, le ragazze di Baniyakheda -villaggio originario della vittima-  sono spaventate e non vogliono più uscire di casa neanche per andare a scuola.

Stando a diversi ricerche del “People’s Media Advocacy and Resources Centre” centinaia di crimini efferati sono stati commessi nei confronti di donne Dalit, a partire dal 16 dicembre 2012, giorno nel quale una giovane studentessa di 23 anni venne brutalmente stuprata e uccisa su un autobus di New Dehli. Questa settimana, quattro uomini sono stati giudicati colpevoli di questo terribile crimine e ora sono in attesa di sapere quale sarà la loro pena che varia dall’ergastolo alla pena di morte. Una sentenza arrivata in fretta, se paragonata ai tanti casi di donne che ancora attendono di veder punito il colpevole delle violenze subite; in altri casi, soprattutto quando si tratta di donne provenienti da comunità marginalizzate come i Dalit, la polizia e la magistratura non sono altrettanto attente a risolvere il caso e a condannare il colpevole.

ActionAid ritiene che lo stupro sia un mezzo attraverso il quale si cerchi di affermare la propria egemonia non solo di genere ma anche di casta, classe sociale o etnica. Per questo in India, lavora con costanza per tenere l’attenzione sempre alta sul rischio violenza che affligge in particolare le donne appartenenti a gruppi esclusi e emarginati dalla società quali i Dalit, le comunità tribali e i poveri degli agglomerati urbani. 

Dei 24.206 casi di stupri registrati nel 2011 solo il 26,4% sono terminati con una condanna: non è dunque solo la violenza sessuale in se’ a spogliare le donne della loro dignità e della fiducia in se stesse. Il nemico più grande è infatti la paura latente che ogni giorno le accompagna e che intacca la loro capacità di prendere l’iniziativa e agire nella società: il rifiuto di andare a scuola delle ragazze del villaggio di Baniyakheda ne è un esempio drammaticamente evidente. Per questo da anni ActionAid chiede al governo indiano di creare una linea “rosa” operativa 24 ore su 24 per aiutare tutte le vittime di violenza; così come la creazione di personale femminile ad hoc, che accompagni le donne nel lungo e difficile iter, dalla denuncia al posto di polizia al processo in aula.

Non è difficile comprendere quanto, in questa situazione, sia importante per le donne Dalit poter avere un qualcosa di proprio. Un pezzo di terra, l’indipendenza economica. Un segno tangibile della loro esistenza che non sia un rapporto della polizia che certifichi la loro morte.

 

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