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Coscienze nere e coscienze sporche.

A 125 anni dall’abolizione della schiavitù il Brasile porta ancora i segni delle catene

Di Elena Prodi
Pubblicato il 23 Nov. 2013 alle 12:20

Chi combatte contro la schiavitù ha da perdere solo le proprie catene. Il Brasile uscì vittorioso da questa lunga battaglia e ne celebra il ricordo ogni 20 novembre, formalmente riconosciuto come “giorno della coscienza negra”, che ricorre nell’anniversario della morte del leggendario Zumbi, avvenuta nel 1695. Governatore del quilombo dos palmares, la più grande comunità di schiavi africani ribelli durante il periodo coloniale, Zumbi fu martire dell’accesa lotta nera contro la schiavitù in Brasile. Dalla metà del XVI secolo, il Brasile accolse nelle sue piantagioni quasi quattro milioni di africani. Falcidiati dalle condizioni di vita disumane, dalle malattie e dalla fatica del duro lavoro nei campi, conobbero la libertà solo nel 1888.

Come ogni anno, questa settimana gli afrodiscendenti hanno rinfrescato al Brasile la memoria di quell’epoca e rivendicato l’apporto della tradizione afro nel processo di sintesi dell’identità nazionale del Brasile. Rio de Janeiro ha reso omaggio alla “coscienza negra” offrendo a turisti e residenti gratuite visite guidate nella “piccola africa” urbana, nel centro storico della capitale carioca, che si snoda tra complessi residenziali di recente costruzione e antichi quilombos. L’antico centro, variegato da edifici storici, piazze e luoghi di culto, è il tempio della memoria di Zumbi, custodita tra le note nere dei suonatori di samba, protetta dalla capoeira, l’arte marziale combattuta a passo di danza, e rievocata nel candomblè, la religione sincretica nata nelle piantagioni di caffè dalla sovrapposizione dei dogmi cattolici alle tradizioni africane.

Le celebrazioni si sono rincorse durante tutta la giornata. Presso il teatro “Oi Casa Grande” di Rio de Janeiro, il centro d’informazione delle Nazioni unite per il Brasile (UNIC Rio) ha patrocinato l’evento “Incontro delle Afriche”. Vari artisti brasiliani, tra cui musicisti, ballerini e ospiti d’onore provenienti da Cuba e dal Senegal, si sono esibiti in un suggestivo spettacolo tra tamburi e musica elettronica per rileggere in chiave contemporanea la tradizione culturale del continente nero. L’importante iniziativa è parte di una campagna per sollecitare l’approvazione della “decada internazionale degli afrodiscendenti”. Entro la fine dell’anno, infatti, l’Assemblea generale dell’Onu dovrà votare e formalizzare lo stabilimento di una decada, tra il 2014 e il 2024, durante la quale tentare di rendere la società mondiale più impermeabile a pratiche discriminatorie e a comportamenti xenofobi.

“Il Brasile è mondialmente rinomato per la sua democrazia razziale”, scriveva l’antropologo statunitense Charles Wagley , credendo che l’alta percentuale del popolo meticcio creerebbe un’assenza di preoccupazione riguardo all’identità razziale e un’armoniosa convivenza tra bianchi, neri e meticci. In realtà il mito della democrazia raziale è slegato dalla realtà. Ancora oggi, il Brasile non avvicina veramente gli uomini se non sul piano della mera coesistenza in uno stesso spazio sociale, regolata da un codice che consacra la disuguaglianza, cammuffandola con i principi d’integrazione di un ordinamento sociale e democratico. Il Brasile è ben lontano dall’essere una democrazia razziale, che rimane un mito, un modello ideale cui i brasiliani dovrebbero ispirarsi perché, come scrisse l’antropologo Florestan Fernandes, “una società democratica o è democratica per tutte le razze, e conferisce loro uguali condizioni economiche, sociali e culturali, o non esiste”.

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