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Cosa fare dopo Charlie Hebdo

L'analisi di Livio Ricciardelli

Di Livio Ricciardelli
Pubblicato il 8 Gen. 2015 alle 16:54

L’unica certezza che abbiamo sulle conseguenze dell’attentato alla redazione parigina di Charlie Hebdo è che questo atto tenderà a rafforzare i movimenti xenofobi e populisti del Vecchio Continente, quanto mai “di moda” in questa contingenza socio-economica.

Trattasi del resto, come ha puntualmente fatto notare Marek Halter in una recente intervista, dell’obiettivo dei fondamentalisti.

Ma lasciate stare per un attimo le caratteristiche tecniche dell’attentato di mercoledì mattina (altro che attentato: sembrava un’operazione militare in piena regola) e le singole branche del fondamentalismo islamico che possono aver ispirato il vile gesto.

E immaginatevi un rafforzamento del Front National francese, movimento che rischia seriamente di avvicinarsi alla vittoria alle elezioni presidenziali del 2017.

Di fronte a una linea oltranzista tesa a “prevenire rischi noti”, come dichiarato recentemente in un’intervista radiofonica da Marine Le Pen, parte della comunità islamica transalpina potrebbe avere il presentimento di essere sempre più ai margini della comunità della République.

Si acuirebbe dunque lo scollamento tra “comunità nazionale” e “comunità musulmana”. Che è proprio l’obiettivo dei fondamentalisti: fomentare gli animi, rendere più aspre le conflittualità attuali. E trarne nuovo personale jihaidista.

Negli ultimi tempi la risposta legalitaria sembra andare per la maggiore, almeno in un contesto europeo sempre più chiuso, autoreferenziale e incapace di uscire dalla crisi che flagella il continente.

Ma per quanto possa apparire scontato l’unico modo per uscire da questa impasse secondo le regole democratica è di diventare sempre più “aperti” e sempre meno “chiusi”.

Non sottovalutate il ruolo attuale della Francia nello scenario globale: se il fondamentalismo islamico e Al-Qaeda non si sono impossessati della regione dell’Azawad e di tutto il Mali è per merito di Parigi.

Per non parlare del ruolo in Libia (dove il conflitto civile è proprio tra due diverse concezioni dell’Islam) e in Siria. Ma al tempo stesso è innegabile che l’attacco a un giornale è l’attacco ad alcuni valori simbolici. A prescindere da tutto.

Ripartire dunque dai valori, ripartire dall’atteggiamento più irrazionale (anche il monoteismo, un tempo, era apparentemente contro la natura degli uomini): più libertà, più apertura, più eguaglianza.

Con la testa e il cuore sempre legati all’insegnamento di Winston Churchill alla vigilia della Battaglia d’Inghilterra: siamo sotto attacco, siamo tutto le bombe, accresco la possibilità accedere all’obiezione di coscienza.

Un continuum apparentemente illogico ma che in realtà non lo è. Almeno se si è profondamente convinti che i propri valori, e non quelli degli altri, siano quelli giusti. E destinati alla vittoria.

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