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Che c’entra il Kenya con la Siria

Il Kenya non è un luogo sicuro per la stampa estera, ha affermato Obama

Di Ernesto Clausi
Pubblicato il 14 Mar. 2013 alle 14:26

Sabato scorso il Kenya ha eletto il quarto presidente della sua storia. Uhuru Kenyatta (qui il suo profilo)

Lo stesso giorno, a Washington, Barack Obama partecipava all’annuale cena organizzata dal Gridiron Club, il più antico circolo giornalistico degli Stati Uniti d’America.

E’ consuetudine che il presidente in carica accetti l’invito e il suo discorso sia divertente, ironico, e possibilmente autoironico. Così è stato.

Ma nel finale, dopo aver preso di mira il suo vice Biden e aver scherzato sul federal budget, Obama ha voluto concludere in modo serio, e ringraziando i giornalisti per l’integrità e la dedizione profusa nel loro lavoro, ha pronunciato la seguente frase: “quest’anno vi siete esposti a grandi rischi per raccontarci storie da posti come la Siria e il Kenya”.

Già, il Kenya.

In Siria la guerra civile sta causando decine di migliaia di vittime. Ed è’ lunga la lista di reporters e corrispondenti uccisi. L’ultimo, a fine febbraio, il fotografo francese Olivier Voisin.

Ma in Kenya non si è registrato un solo episodio, negli ultimi tempi, di violenza o aggressione di qualsiasi tipo nei confronti di giornalisti stranieri.

Due giornalisti, non stranieri ma kenyoti, picchiati dalla polizia a Kibera, nel periodo pre elettorale. Questo rimane l’unico episodio degno di nota negli ultimi tempi.

Le parole di un discorso ufficiale sono sempre ponderate e hanno un loro valore. Cosi questo accostamento ha suscitato perplessità, e la reazione dell’opinione pubblica a Nairobi. Se sui pericoli che si corrono lavorando in Siria non c’è bisogno di aggiungere altro, restano oscure le ragioni della citazione sul Kenya. O forse no.

Il neo presidente Kenyatta è sotto processo alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità, in seguito agli scontri post elettorali del 2007/8. La sua candidatura è, di fatto, sempre stata invisa alla comunità internazionale occidentale, Stati Uniti e Regno Unito su tutti. La tendenza è ridurre al minimo le relazioni diplomatiche ed economiche, se non tagliare i ponti, con esponenti politici e Stati coinvolti in processi a L’Aja.

Cosi il riferimento di Obama è sembrato essere una prima frecciatina, sottile, della diplomazia americana.

Un mese prima dell’appuntamento elettorale in Kenya, Obama aveva mandato un video messaggio (guarda il video) politicamente neutrale al popolo kenyota, auspicando elezioni regolari e che non sfociassero in violenze, come già accaduto cinque anni prima.

Ma ci aveva pensato subito dopo l’assistente segretario di Stato per gli affari africani Johnnie Carson a dire quello che il presidente non avrebbe mai potuto esplicitare. “Il risultato di queste elezioni avrà delle conseguenze sul piano delle relazioni economiche e diplomatiche”.

Considerazioni simili sono arrivate dall’Europa: le rappresentanze diplomatiche dell’Unione Europea si limiteranno a “contatti essenziali” con il neo presidente, il quale, mentre si contavano i voti la settimana scorsa, usava parole al vetriolo nei confronti della British High Commission, accusandola di interferire nel processo elettorale.

Cosi, mentre l’ambasciatore cinese in Kenya, e il ministro degli esteri Yang Jiechi hanno già riconosciuto ufficialmente il neo presidente eletto, nella complessa partita a scacchi della diplomazia, Obama ha mosso questa pedina.

Il suo rapporto personale con il Kenya si sta, nel tempo, raffreddando.

Il padre era kenyota. A Kogelo vive la nonna. E a queste ultime elezioni, in corsa per la carica di governatore, c’era anche il fratellastro Malik Obama. Non un poltico di grande spessore, per la verità. Ha raccimolato un misero uno per cento, e la sua pagina facebook annovera soltanto cinquantatrè “like”.

In Kenya Obama è stato l’ultima volta nel 2006, da senatore. Mai da presidente, troppo grande il rischio di strumentalizzazioni della sua figura, in un contesto tribale complesso.

Ciò ha suscitato la delusione di parte del popolo kenyota. Che ancora lo aspetta, e spera che nel suo secondo mandato possa essere più vicino alle istanze della sua terra d’origine.

L’ex assistente segretario per gli affari africani negli Stati Uniti, Jendayi Frazer, ha sottolineato come una politica di isolamento del Kenya possa essere pericolosa e controproducente per Europa e Stati Uniti. Sotto il profilo economico, a causa della penetrazione economica cinese e indiana sui mercati africani. Per la tutela degli interessi delle multinazionali occidentali. E per quanto riguarda la lotta al terrorismo e all’estremismo islamico, poichè il Kenya rappresenta il partner più affidabile in Africa Orientale.

Il Kenya, oggi, non è la Siria.

Il testo integrale del discorso di Obama al Gridiron Club:

http://www.whitehouse.gov/the-press-office/2013/03/10/remarks-president-gridiron-dinner
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