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A pranzo durante il Ramadan

In Tunisia, le donne sono protagoniste di un dibattito culturale sull’Islam. Che comincia dal diritto a non digiunare.

Di Valentina Vivona
Pubblicato il 16 Lug. 2013 alle 17:01 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:08

Sono le 13 a Tunisi e Raouf si fa fotografare da un amico mentre addenta con voracità il primo boccone del suo panino; in pochi secondi, la foto è caricata su Facebook in una pagina chiamata “Foto scattate durante il Ramadan”.

È un’iniziativa nata poche ore dopo la minaccia del leader salafita tunisino Adel Almi di far installare telecamere nei luoghi pubblici per riprendere e punire chi infrange il sacro digiuno islamico, iniziato quest’anno il 10 luglio. Per un mese all’anno, i musulmani praticanti devono astenersi dal consumo di cibo, bevande, caffè e tabacco dall’alba al tramonto. Uno sforzo che, secondo il Ministro degli Affari Religiosi Noureddine Khademi, dovrebbe implicare la chiusura obbligatoria di tutti i locali tunisini “per evitare disordini e andare incontro ai sentimenti della gente”.

“Osservo il Ramadan per convinzione personale, ma appoggio la vostra protesta. Ognuno è libero di scegliere: chi digiuna non è offeso da chi mangia. Sono le differenze del nostro popolo a renderci forti”, scrive Nadia su Facebook. Dopo neanche una settimana, la pagina creata da tre studentesse e lavoratrici tunisine ha superato gli 11mila contatti. Su Twitter, l’hashtag #fater (che in tunisino significa ‘mancato digiuno’) ha quasi raggiunto gli 80mila account. Myriam Karoui, consulente del gruppo TMC, ha inserito su Google una mappa dei locali aperti dove si può mangiare e bere in Tunisia durante il giorno. “Sono musulmana, in Tunisia siamo tutti musulmani. E sto rispettando il Ramadan”, racconta, “ma ho creato la mappa perché uno dei principi più importanti del Corano è la tolleranza”. I fedeli più ferventi, invece, hanno subito tentato di sabotare la pagina, inventando bar immaginari in mezzo al Mediterraneo.

In Tunisia il 60% dei laureati è donna”, afferma Ilaria Guidantoni, giornalista autrice di tre libri sulla Tunisia dopo la rivoluzione del 2011. Questa percentuale spiega, secondo lei, perché le donne siano le attuali protagoniste di un dibattito culturale sull’Islam. ‘Non sarà un uomo a impormi il velo’ è uno slogan in voga anche tra le deputate di Ennahda, il partito islamico al governo. La fine del digiuno quotidiano è celebrata con una grande cena cucinata dai membri femminili della famiglia.

“Lavorando soprattutto a contatto con il pubblico, nelle strutture turistiche o del benessere, le donne non usufruiscono dell’orario ridotto di cui godono gli uomini, impiegati di solito negli uffici pubblici”. Le musulmane praticanti si ritrovano quindi, quando cala il sole, a farsi carico del ristoro familiare digiune e dovendo probabilmente poi riprendere a lavorare. La Tunisia ha approvato nel 1956 un avanzato Codice di Condotta per tutelare i diritti di genere; aborto e divorzio sono stati legalizzati molto prima che in Francia.

“Non permettono che si faccia un passo indietro: questo è il controllo democratico esercitato oggi dalle donne”, conclude la giornalista. Dal suo insediamento, il parlamento tunisino è impegnato nella redazione della Nuova Costituzione. Nell’agosto del 2012 centinaia di donne tunisine sono scese in piazza per opporsi al tentativo di inserire un articolo in cui erano definite “complementari” all’uomo. La bozza definitiva è in attesa di essere approvata. Il parlamento dovrà poi decidere se sottoporre il testo a referendum; in ogni caso, è prevedibile che la popolazione troverà il modo di farsi sentire.

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