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#30June: ci siamo arrivati

La fine del #tamarrod dove porterà?

Di Azzurra Meringolo
Pubblicato il 30 Giu. 2013 alle 18:59

Eccoci ci siamo, il #30june è arrivato e con lui la scadenza della campagna del #tamarrod di cui abbiamo parlato. I mutamarridin ( coloro che si ribellano) volevano raccogliere 15 milioni di firme, ma in mano ne hanno 22 milioni ( anche se questa cifra, come del resto le modalità di raccolta sono discutibili). Per la cronaca vi rimando al nostro account twitter @ragazzitahrir, qui solo un paio di riflessioni:

-la polarizzazione è alle stelle. Mursi ha “teso” la mano troppo poco e troppo tardi. L’opposizione alla dirigenza islamista però non ha fatto molto per ridurre le distanze. Negli ultimi giorni gli attacchi alle sedi della Fratellanza Musulmana hanno fatto aumentare la tensione.

-l’opposizione poi è eterogenea e il popolo che oggi popola Tahrir non è lo stesso che lo popolava nel 2011. Ci sono sì i rivoluzionari e i giovani della prima ora, ma anche i sostenitori del vecchio regime che hanno foto di Mubarak tra le mani. Anche qualora le richieste che li uniscono oggi venissero soddisfatte, che futuro si prevede? Il fronte del 30 June è però più propositivo del passato e ha presentato un’agenda precisa in caso di un’uscita di scena del presidente Mursi

-i nodi centrali sono 2: dove porteranno queste manifestazioni che vedono in una piazza sostenitori di Mursi e in un’altra ( come in altre città del Delta) i suoi oppositori? Il rischio è quello di una escalation di violenza, uno scontro civile ( nel caso scoppierà nella serata). In tal caso molto dipenderà dall’esercito. La polizia è quasi assente dalle strade, i carri armati però ci sono già da giorni (hanno in primis accerchiato la Media city che ospita i canali privati). Tra l’opposizione a Mursi ci sono quanti ( soprattutto ex mubarakiani) vogliono che l’esercito prenda in mano la situazione e quanti invece vogliono che ne restino fuori. Questa differenza di vedute non è da sottovalutare. Le cose da dire sarebbero molte. Qui trovate un’analisi scritta alla vigilia delle manifestazioni di oggi e qui un’analisi approfondita sull’opposizione civile egiziana di cui parliamo, un soggetto vago e trascurato dagli analisti.

Mentre gli aereoplani militari tornano a sorvolare Tahrir, concludo con una riflessione sull’antiamericanismo che vedo evolversi. La Tahrir di oggi è molto più anti-americana di quella del 2011. Basta guardare gli striscioni in arabo che recitano “Obama è un terrorista” e quelli che invitano l’ambasciatrice Patterson a fare le valigie. Perché? Perché la Patterson ha di fatto dichiarato illegittime le manifestazioni contro Mursi di oggi. Obama ha chiesto a Mursi di abbassare il tono solo dopo la morte di Andrew Pochter, un cittadino statunitense che ha perso la vita sabato negli scontri di Alessandria. Il copione è lo stesso di sempre. Appena il presidente egiziano vede che gli Stati Uniti criticano la loro dirigenza accusa la Casa Bianca di ingerenza. E questa ha già allertato circa 200 marines nelle basi di Sigonella e Moroon.

Domani alle 11 parleremo di tutto questo e di altro ancora con Luigi Spinola su Radio 3 Mondo.

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