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I virus letali sommersi nel ghiaccio che si stanno svegliando per il riscaldamento globale

Credit: Staffan Widstrand/naturepl.com

I cambiamenti climatici stanno sciogliendo il permafrost, portando alla luce virus e batteri che ora rinascono a nuova vita e che l'uomo non ha mai incontrato

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 29 Lug. 2017 alle 15:57 Aggiornato il 17 Apr. 2018 alle 09:36

Cosa succederebbe se l’umanità fosse improvvisamente esposta a batteri e virus mortali che sono stati assenti per migliaia di anni o che l’uomo non ha mai incontrato?

Potremmo scoprirlo prima di quanto immaginiamo. I cambiamenti climatici stanno sciogliendo il permafrost, ossia quello strato di suolo presente nei climi freddi delle alte latitudini, perennemente gelato in profondità.

Tale scioglimento sta portando alla luce anche virus e batteri che dopo aver “dormito” per anni ora rinascono a nuova vita.

Nel mese di agosto del 2016, in un angolo remoto della tundra siberiana chiamata Penisola di Yamal, nel circolo polare Artico, un ragazzo di 12 anni morì e almeno una ventina di persone furono ricoverate dopo essere state infettato dall’antrace.

L’ipotesi più accreditata per spiegare tali eventi è che, oltre 75 anni fa, la carcassa di una renna morta per antrace rimase intrappolata sotto lo strato di terreno ghiacciato.

Quando l’ondata di caldo nell’estate del 2016 coinvolse quelle zone, il permafrost si sciolse portando alla luce il cadavere della renna e liberando l’antrace infetto nelle acque del terreno e dunque nelle coltivazioni dell’uomo.

Il timore è che questo episodio non resti un caso isolato.

Più la terra si riscalderà, più permafrost si scioglierà. In circostanze normali, gli strati superficiali di permafrost, profondi circa 50 centimetri, si fondono ogni estate. Ma ora il riscaldamento globale sta gradualmente esponendo anche gli strati più antichi e profondi.

Lo strato congelato di permafrost è il luogo ideale per la conservazione in vita di batteri, che possono resistere fino a un milione di anni. Ciò significa che la fusione del ghiaccio potrebbe potenzialmente scongelare una consistente quantità di malattie.

La temperatura del circolo polare Artico è in rapida crescita, circa tre volte più veloce di quella del resto del mondo. Come il ghiaccio e il permafrost si sciolgono, altri agenti infettivi possono essere rilasciati.

“Il Permafrost è un ottimo conservatore di microbi e virus, perché è freddo e all’interno non c’è ossigeno ed è buio”, ha spiegato Jean-Michel Claverie, il biologo esperto di evoluzione dell’Università di Aix-Marseille in Francia.

“I virus patogeni che possono infettare umani o animali potrebbero essere conservati in vecchi strati di permafrost, tra cui alcuni che hanno causato epidemie globali in passato”, ha proseguito l’esperto.

Tuttavia, la grande paura è che ci sia altro in agguato sotto il suolo congelato.

In uno studio del 2005, gli scienziati della NASA hanno ritrovato i batteri che erano stati avvolti in uno stagno congelato in Alaska per 32mila anni.

I microbi, chiamati Carnobacterium pleistocenium, erano stati congelati dal periodo Pleistocene, quando i mammut continuavano a vivere sulla terra.

Una volta che sono stati rianimati, i virus sono diventati rapidamente infettivi.

Tuttavia, non tutti i batteri possono tornare alla vita dopo essere rimasti congelati nel permafrost. I batteri dell’antrace possono farlo perché formano delle spore che sono estremamente resistenti e possono sopravvivere congelate per più di un secolo.

Anche il tetano e il clostridium botulinum formano le spore. Quest’ultimo è l’agente patogeno che provoca il botulismo, una malattia rara che può causare paralisi e persino essere fatale.

Dal 2014 a oggi, una squadra di scienziati francesi diretta da professor Claverie ha trivellato il sottosuolo siberiano perennemente impregnato di ghiaccio, e svegliato in laboratorio uno dei virus preistorici rinvenuti nel permafrost.

Il virus studiato dai francesi è stato scoperto a 30 metri di profondità nella tundra di Kolyma, regione di Magadan, celebre per le sue miniere d’ oro, e gli è stato dato il nome scientifico “Mollivirus sibericum”.

È considerato un “gigante” tra i virus, misurando 0,6 micron, poco più di mezzo millesimo di millimetro. Il suo codice genetico è più ricco e complesso della maggior parte dei virus odierni. Se, per esempio, il pericoloso Hiv, l’ agente dell’ Aids, ha un Dna composto da una decina di geni, il “Mollivirus” preistorico ne conta 500.

Il microbo risalirebbe a 30mila anni fa, alla piena epoca dell’ ultima glaciazione.

Gli scienziati coinvolti nelle ricerche hanno scoperto che i batteri hanno una notevole resistenza agli antibiotici sviluppata nel corso dei millenni.

Quanto dobbiamo preoccuparci di tutto questo?

Da una parte va tenuto conto che non è possibile per adesso quantificare e valutare seriamente il rischio rappresentato da questo sciogliemento, per cui non dovremmo allarmarci eccessivamente.

Al contrario, dobbiamo concentrarci sulle minacce più concrete del cambiamento climatico. Per esempio, quando il riscaldamento climantico colpirà maggiormente i paesi del nord, sarà più semplice la diffusione di malattie “meridionali” come la malaria, il colera e la febbre dengue, in quanto questi agenti patogeni prosperano a temperature più calde.

Ad ogni modo, non dobbiamo ignorare i rischi dello scioglimento del permafrost solo perché non siamo in grado di quantificarli o prevederli con precisione.

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