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Chi è davvero Momo, il mostro di Whatsapp che sta spaventando il mondo

Il volto inquietante di "Momo", il mostro che contatta la gente su Whatsapp.

Un personaggio dal volto allungato che potrebbe essere uscito da un horror sta inviando messaggi su Whatsapp agli utenti di tanti Paesi diversi

Di Viola Stefanello
Pubblicato il 9 Ago. 2018 alle 16:06 Aggiornato il 9 Ago. 2018 alle 16:08

Momo è una creatura inquietante dagli occhi enormi e fuori dalle orbite, i capelli unti e neri e la faccia allungata che da qualche settimana è diventata famosa sull’app di messaggistica istantanea più diffusa nel mondo occidentale, Whatsapp.

In origine, si trattava di un gioco: bastava chiamare un numero dal prefisso giapponese (+81) per ricevere su Whatsapp delle altre foto inquietanti di mostri o esseri umani dal volto deformato. Il numero era stato condiviso inizialmente su Facebook.

A inviare, almeno in apparenza, queste fotografie era proprio questo mostro dagli occhi a palla di nome Momo.

Si sono poi diffusi altri due numeri, uno originario del Messico (+57) e uno della Colombia (+52).

In seguito, però, la cosa è sfuggita di mano quando qualcuno, nel web spagnolo, ha cominciato a creare degli account Whatsapp spacciandosi per Momo stessa e a far circolare diverse leggende urbane.

In realtà, la creatura altro non è che una statua particolarmente brutta d’arte contemporanea esposta nella Vanilla Gallery, in Giappone.

A crearla è stata l’artista giapponese @nanaakooo.

L’intera statua da cui è stato tratto il volto del mostro Momo.

La leggenda metropolitana attorno a Momo, il mostro di Whatsapp

Secondo una delle leggende, alcuni utenti di Whatsapp in diverse parti del mondo sarebbero stati contattati da Momo, nel cuore della notte, e avrebbero da lei ricevuto delle immagini terrificanti.

Altri, invece, dicono che per riceverle sia ancora necessario contattare personalmente Momo su Whatsapp e chiedere di vedere le immagini.

Infine, una corrente più oscura ha comparato Momo al fenomeno della “blue whale”, il gioco che in teoria stava istigando al suicidio decine di adolescenti in giro per il mondo.

Secondo quest’ultima versione della leggenda urbana, Momo infatti non invierebbe ai ragazzi soltanto immagini spaventose ma anche una serie di comandi da eseguire se non si vuole andare incontro a terribili conseguenze. Alcuni giornali riportano addirittura che una ragazza in Argentina si sarebbe suicidata dopo essere stata contattata dal mostro di Whatsapp.

Al momento, gli ultimi utenti che hanno detto di aver provato a contattare Momo su Whatsapp hanno riportato di non aver ricevuto risposta.

Ma, a sentire chi dice di aver ricevuto, invece, risposta, Momo non si limiterebbe a inviare immagini terrificanti ma anche insulti e messaggi che farebbero pensare che “il mostro” conosce i dettagli della vostra vita privata.

L’utente di YouTube ReignBot, che parla spesso di temi legati all’occulto e ai social media, ha recentemente pubblicato un video in cui ridimensiona l’allarme lanciato dalle testate internazionali rispetto al presunto pericolo rappresentato da Momo.

“La cosa che sicuramente le persone trovano più intrigante, quando si parla di Momo, è sicuramente l’uso di immagini shockanti. Ovviamente, più una persona è ingenua e più sarà portata a credere che queste immagini siano state scattate personalmente dal creatore di Momo. Ma questo, chiaramente, non è molto probabile”, ha spiegato la youtuber.

Il fatto che si tratti di una leggenda metropolitana è, secondo la ragazza, piuttosto evidente.

“La gente sa chi è Momo e cosa fa, ma non ci sono davvero tante persone che hanno effettivamente interagito con il suo account. Trovare degli screenshot che mostrano delle interazioni con Momo è quasi impossibile. Ti aspetteresti che ce ne fossero di più, se fosse veramente un fenomeno così diffuso”.

Si tratterebbe, quindi, più di uno scherzo di cattivo gusto privo di vittime piuttosto che una malvagia catena di Sant’Antonio volta a rubare i nostri dati personali, estorcerci denaro o fare del male ai bambini attraverso Whatsapp, come in molti sono invece portati a credere.

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