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    Ecco come il Giappone vuole usare dei robot per prendersi cura degli anziani

    Un robot "Robear" che solleva una donna per una dimostrazione a Nagoya, nel Giappone centrale. Il robot può trasferire gli anziani pazienti da una sedia a rotelle a un letto o un bagno. Credit: Jiji Press / Afp / Getty Images

    Gli anziani coprono il 20 per cento della popolazione giapponese, e molti di loro muoiono da soli, senza alcun tipo di assistenza

    Di Camilla Palladino
    Pubblicato il 6 Feb. 2018 alle 15:27 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:15

    In Giappone, secondo il ministero della Salute, le persone anziane rappresentano il 20 per cento della popolazione, e sempre più spesso si ritrovano a passare gli ultimi anni della vita soli nei propri appartamenti.

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    La “morte di solitudine”, o kodokushi, come viene chiamata in Giappone, secondo gli esperti colpisce 30mila persone all’anno.

    Le cause dell’aumento di kodokushi sarebbero legate alla progressiva perdita d’importanza dei nuclei familiari tradizionali, all’invecchiamento esponenziale della popolazione giapponese e alla tendenza delle persone più anziane ad isolarsi, intimorite dai tabù che rappresentano la vecchiaia e la morte.

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    Spesso, dunque, gli anziani vengono abbandonati a loro stessi dalle famiglie e dai figli, e preferiscono lasciarsi morire in solitudine piuttosto che chiedere aiuto.

    Parallelamente all’invecchiamento della società giapponese, secondo il Guardian è previsto un deficit di 370mila badanti entro il 2025.

    Per questo motivo, il governo vuole fare in modo che la tecnologia sopperisca alla forza-lavoro infermieristica.

    Gli sviluppatori giapponesi hanno cercato di creare delle tecnologie robotiche che fossero in grado di aiutare gli anziani a spostarsi dal letto alla sedia a rotelle – e viceversa – o che li facilitassero nell’entrata nella vasca da bagno.

    Secondo il dottor Hirohisa Hirukawa, direttore della ricerca sull’innovazione dei robot al Japan’s National Institute of Advanced Industrial Science and Technology, gli obiettivi di queste tecnologie includono l’alleggerimento dell’onere per il personale infermieristico e l’aumento dell’autonomia delle persone che vivono ancora a casa.

    Per il momento i robot utilizzati coprono solamente l’8 per cento delle case di cura giapponesi, innanzitutto a causa dei costi elevati, ma anche perché, nonostante il Giappone sia un paese all’avanguardia, ha ancora i suoi tabù.

    “Da parte di coloro che ricevono assistenza, inizialmente ci sarà una resistenza psicologica”, ha spiegato il dottor Hirukawa.

    Per evitare di aumentare ulteriormente i costi, i robot non possono parlare ai pazienti, né tantomeno hanno sembianze umane, però sono programmati per aiutare gli anziani in determinate situazioni di difficoltà.

    Ad esempio gli infermieri robot possono facilitare la mobilità degli anziani che ancora riescono a camminare, venendo utilizzati come “spalla” alla quale appoggiarsi per strada.

    In questo caso i sensori rilevano se l’utente sta andando in salita e, in caso di affaticamento, viene attivata una funzione di potenziamento che permette al robot di sostenere e trasportare la persona anziana che sta assistendo.

    Quando il pedone al contrario viene rilevato in un momento di discesa, si attiva un freno automatico per evitare le cadute. Il concetto è simile al funzionamento delle biciclette elettriche, molto utilizzate in Giappone.

    Le prossime priorità nella ricerca prevedono dispositivi indossabili che aiutino a incrementare la mobilità, e tecnologie che guidino le persone alla toilette prevedendo il momento giusto.

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