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Emergenza suicidi: un’epidemia silenziosa sta uccidendo la Generazione Z

Credit: AP Photo

Laura fa uso di stupefacenti. Paolo scarica l’ansia facendosi del male. Lisa è finita in ospedale per abuso di farmaci. Tra i giovani cresce il disagio mentale. Ma mancano le risorse per aiutarli e ogni anno in Italia si contano circa quattromila suicidi tra gli adolescenti

Di Ludovica Amici
Pubblicato il 12 Apr. 2024 alle 09:59

Laura ha 16 anni, si presenta in Pronto Soccorso dopo aver assunto ecstasy, ayahuasca e funghi allucinogeni durante una festa “rituale” organizzata da alcuni amici. Lo stato dissociativo in cui si presenta promette male rispetto alla sua condizione psichica, che rimane “confusa” e “fatua” per molte ore. Dopo la valutazione del neuropsichiatra infantile si agita e, in attesa di un ricovero in psichiatria, deve essere contenuta fisicamente per non mettere in atto azioni auto-aggressive o violente nei confronti del personale ospedaliero.

Paolo ha 15 anni quando viene portato dai genitori in Pronto Soccorso contro la sua volontà perché hanno scoperto casualmente che il numero delle cicatrici sulle sue braccia è aumentato considerevolmente. Pediatra e psichiatra di guardia si interrogano sul fatto che i tagli non siano mai stati oggetto di una richiesta di spiegazioni da parte dei familiari, né di una consulenza con un professionista della salute mentale, ma dicono di essersene accorti solo a seguito di una vacanza al mare e di aver scelto di non parlarne con il figlio per paura di incentivarne la ripetizione e, soprattutto, per la vergogna di avere un figlio che usa questo sistema di “scarico dell’ansia” perché incapace di comunicare altrimenti le proprie sofferenze.

Lisa di anni ne ha 14 e viene accompagnata al Pronto Soccorso in ambulanza dai genitori che l’hanno trovata riversa sul divano con a fianco due scatole di benzodiazepine recuperate in casa. La ragazza al risveglio parla di difficoltà con gli amici che frequenta per una presunta incapacità del gruppo di accettarla; i genitori sospettano che le cose siano precipitate dopo il periodo del Covid e lo confermano a seguito di un aumento dell’isolamento della figlia non più in grado di mostrare “piacere per la vita” e sempre più in difficoltà nel rientro a scuola dopo il lockdown e le lezioni da remoto.

I disturbi mentali sono in drammatico aumento tra i giovanissimi. Nel mondo ne soffre tra il 10 e il 20 per cento di bambini e adolescenti e in Italia si stima siano circa due milioni i bambini e ragazzi colpiti da disturbi neuropsichiatrici. Anche l’età di esordio delle malattie psichiatriche continua ad abbassarsi sempre di più: secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), il 50 per cento delle patologie esordisce prima dei 14 anni. C’è un acuirsi dell’utilizzo di droghe, di casi di bullismo e di rischio suicidario che sono le tre aree problematiche dell’adolescenza ma spesso gli adulti faticano a riconoscere i segnali del disagio.

Insorgenza precoce
Ogni anno nel mondo si contano circa 46 mila suicidi tra gli adolescenti, soltanto in Italia se ne verificano circa quattromila, ciò significa che nel nostro Paese ogni dieci anni scompare una città di quasi 40 mila abitanti. Sono numeri preoccupanti, ai quali andrebbero aggiunti anche i tentativi di togliersi la vita di cui è impossibile avere numeri precisi. Nei soli tre anni della pandemia si è registrato un aumento del 30 per cento delle diagnosi di disturbi psichici e i sintomi depressivi nella popolazione sono quintuplicati anche in Italia, coinvolgendo una persona su tre. Anche i Dipartimenti di Salute Mentale sono diminuiti e si stima inoltre che entro il 2025 mancheranno all’appello altri mille psichiatri: è lo scenario allarmante che denuncia la Società Italiana di Psichiatria (Sip).

Al di là dei singoli casi, gli studi scientifici dimostrano che i ragazzi di oggi soffrono di più di disturbi mentali, sono meno inseriti nel tessuto sociale e contemporaneamente esposti a stimoli tecnologici radicalmente diversi rispetto ai coetanei di appena vent’anni fa. Problemi già presenti ma amplificati dalla pandemia e dalle crisi economiche e ambientali. 

«Sicuramente il disagio psichico è in aumento in maniera costante da più di dieci anni perché ci sono tante situazioni di incertezza e le malattie mentali sono quelle che ne risentono di più quando le società sono in crisi», spiega a TPI la presidente della Società Italiana di Psichiatria nonché direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asst Giovanni XXIII di Bergamo, Emi Bondi. «Siamo andati avanti pensando che ci sarebbe stato il progresso e la possibilità di studiare e lavorare per tutti e invece c’è molta precarietà per la Generazione Zeta. Sono quindi aumentate ansia e depressione in tutta la popolazione e abbiamo visto un abbassamento dell’età di esordio, cioè si ammalano sempre più giovani, che cominciano molto presto, anche alle scuole medie, e questo è in parte legato a stili di vita disfunzionali e all’uso di sostanze».

«Le conseguenze sono dei danni sui cervelli che a questa età sono in crescita. Ricordiamo che il cervello maschile arriva alla maturazione intorno ai 25 anni e quello femminile intorno ai 20, e l’effetto di una sostanza psicotropa è diverso su una persona in formazione rispetto a un’altra il cui cervello è già stabilizzato», mette in guardia Bondi. «Questo nelle persone che hanno anche una vulnerabilità genetica o una predisposizione è un detonatore che facilita l’insorgenza».

Investimenti scarsi
La presidente della Società Italiana di Psichiatria ritiene che oggi ci sia una maggiore solitudine perché ai ragazzi mancano spesso punti di riferimento tra gli adulti perché entrambi i genitori lavorano. C’è anche una riduzione della socialità e delle attività tipiche del percorso di crescita e molto importanti in adolescenza. Ovviamente ci sono anche delle notevoli eccezioni e quindi ragazzi che fanno sport e hanno una socializzazione sana, ma tendenzialmente oggi molti giovani passano ore da soli sui computer e sui social, sostituendo le relazioni reali con quelle virtuali. 

Sono giovani che crescono in una società individualista, molto proiettata sull’apparire e condizionata dai social e dagli influencer, dove cresce la pressione per la performance. Una società che afferma di promuovere l’inclusione, mentre velocemente si avvia verso un sistema in cui i fragili hanno sempre minor posto. Disorientati, trovano nel web e nei videogiochi una soluzione per alleviare la sofferenza, finendo per diventarne dipendenti.  

«Bisogna guardare i nostri ragazzi: vedere se escono, se hanno amicizie o si chiudono in casa, quanto utilizzano i telefonini, senza dare per scontato che crescano accanto a noi e investire nelle generazioni di oggi», afferma Bondi sottolineando che da oltre dieci anni si è disinvestito nella sanità e che i numeri del personale si sono ridotti. «Sono anni che chiediamo di avere più psicoterapeuti ma continuano a diminuire, nonostante sia aumentata la richiesta. Lo stesso vale per i medici che mancano anche per la politica del numero chiuso, che non ha tenuto conto della necessità di averne di più. Ce ne siamo accorti quando è scoppiato il Covid. Non si può risparmiare sempre e solo sulla sanità. Se la depressione è la principale causa di disabilità nel mondo, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, forse delle politiche in questo senso vanno fatte. Perché la salute mentale è un diritto dei cittadini e dobbiamo investire su questo».

“Strafatti” di social
Almeno 100 mila adolescenti italiani fra gli 11 e i 17 anni fanno un uso compulsivo e incontrollato di social e piattaforme di streaming, quasi altrettanti si chiudono per mesi in camera, vivendo solo attraverso computer e smartphone, sostituendo il reale con l’irreale virtuale. A questi si aggiungono circa 500 mila ragazzi, soprattutto maschi, a rischio di dipendenza da videogiochi. 

Uno studio italiano, promosso dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, condotto dall’Irccs Stella Maris e dalla Ausl di Bologna, ha dimostrato che i giovani non sono dipendenti dalle droghe, ma vivono “strafatti” di TikTok, Instagram, o altri social media e rischiano di perdere il senso della realtà. Ci sono ragazzi che hanno proprio i sintomi dell’astinenza, diventano nervosi e irritabili perché vogliono stare in quel mondo a scapito dell’uscire e vedere gli amici. Un’altra ricerca in Giappone ha evidenziato gli effetti causati sui minori dall’esposizione ai videogiochi: qualcuno trascorre anche quattro ore al giorno a fissare lo schermo. È emerso che, dopo quattro anni, chi era stato esposto così tanto ai videogame aveva poi maturato dei ritardi nello sviluppo cognitivo. In Asia, dove il fenomeno è particolarmente preoccupante, si sono previste misure come il coprifuoco per i videogame dalle 22 alle 8 del mattino, o consultori specializzati per imparare a vivere senza Internet. Poiché queste dipendenze oggi sono considerate come quelle dalle droghe d’abuso, sono coinvolte le stesse aree cerebrali e gli stessi neurotrasmettitori, dopamina e serotonina.

È ormai noto come i social stiano incentivando fenomeni di emulazione preoccupanti perché sui social girano storie di violenza giovanile, che enfatizzano l’uso di droghe, o che danno informazioni su comportamenti anoressici, e ciò non agevola i ragazzi che sono collegati a Internet dalla mattina alla sera. Negli Stati Uniti trentatré stati hanno fatto causa al colosso Meta, proprietario di Facebook, Instagram, Threads e Whatsapp, accusando l’azienda di contribuire a un disagio correlato alla salute mentale dei giovani anche a causa della dipendenza che creerebbero le loro piattaforme social, in particolare Instagram, e di aver «sfruttato tecnologie potenti e senza precedenti per attirare, coinvolgere e intrappolare giovani e adolescenti, avendo come scopo quello del profitto». Anche altri social media si sono trovati nella medesima situazione ad affrontare giovani o distretti scolastici che hanno sollevato rivendicazioni simili.

In Italia i minorenni non possono più navigare in qualunque angolo della rete. L’accesso a otto categorie di siti ritenuti inappropriati è automaticamente bloccato su tutte le sim card intestate ai minori. Quindi siti che forniscono informazioni, promuovono o supportano la vendita di armi, il gioco d’azzardo e le scommesse, che promuovono lesioni personali e suicidio o pratiche che possono danneggiare la salute come l’anoressia, la bulimia o l’uso di droghe, e i siti per adulti dove vengono diffusi contenuti pornografici.

Poliabuso di sostanze
Il primo dato importante è che si assiste a una retrodatazione maggiore di questi problemi. Oggi i disturbi mentali esordiscono in età giovanile. Il disturbo di ansia, che è il più comune, ha un’età di esordio che comincia a essere collocata tra i cinque e i sette anni. «Non è detto che questi disturbi vengano riconosciuti dalle famiglie e questo è il grosso problema con cui combattiamo perché l’informazione spesso è insufficiente per questo tipo di problematiche o c’è la paura di affrontarle e parlarne con uno psichiatra», ci spiega Massimo Clerici, professore ordinario di psichiatria all’Università degli Studi di Milano Bicocca. «Le famiglie sono in generale più assenti e si stanno deresponsabilizzando. È una generazione che ha perso un po’ il controllo genitoriale. Un tempo il ruolo di apprendimento passava all’interno delle famiglie attraverso il costante monitoraggio di nonni e genitori, dove ognuno faceva la sua parte e redistribuiva le responsabilità, oggi il lavoro e la mancanza di tempo non lo permettono». 

«È aumentato l’utilizzo di psicofarmaci e ansiolitici che sono spesso alla portata dei ragazzi. Se uno dei genitori prende l’ansiolitico per dormire è chiaro che trovandolo in casa diventa per loro più accessibile e purtroppo ci sono anche dei fenomeni negativi di iper-prescrizione di questi farmaci», prosegue il docente. «Inoltre la generazione attuale assaggia tutto. Considerato il supermarket che c’è oggi a disposizione, che ha allargato qualunque maglia di controllo che poteva esserci prima, la tendenza giovanile di oggi è predisposta al poliabuso e quindi ad assaggiare più sostanze facilmente reperibili. Questo è l’effetto di un mercato dove si tende a farmacologizzare tutto e la farmacologizzazione dei problemi è una cosa che viene trasmessa dai genitori ai figli, culturalmente». 

Come si possono anticipare questi fenomeni? «L’unica possibilità è identificare e intervenire su fattori di rischio legati alla possibilità che un assaggio diventi consumo stabile. Perché l’assaggio è difficile impedirlo ma si può intervenire sul consumo stabile che si cronicizza e diventa pericoloso», afferma Clerici. «Quindi sarebbe utile un sistema sanitario in grado di controllare dei segnali di allarme che possono essere l’uso di sostanze o le modalità giovanili di autolesionismo. Nella vulnerabilità c’è spesso anche una componente di predisposizione genetica che incrocia anche fattori di stress come i maltrattamenti e gli abusi fisici o psicologici. Questi aspetti traumatici, identificati come fattori di rischio, possono essere monitorati e si può intervenire più precocemente invece di fare arrivare le persone con disturbi mentali a usufruire dei servizi in età adulta».

Il problema, sottolinea il docente, è far funzionare i servizi che in questo momento sono depauperati di risorse. È un momento di grande crisi soprattutto per la neuropsichiatria infantile e ciò costituisce un grave danno per delle patologie che esordiscono precocemente e che avrebbero delle risposte rapide. Se si creano invece delle liste d’attesa perdiamo delle opportunità e ci ritroviamo ad aiutare questi ragazzi al Pronto Soccorso già con dei danni e in situazioni di emergenza, o in situazioni di peggioramento clinico rispetto ai problemi iniziali.

È quindi sempre più indispensabile individuare i disturbi in età evolutiva ed elaborare strategie e soluzioni per rispondere a questa silenziosa epidemia che colpisce ogni giorno il nostro Paese. Aumentando l’attenzione e gli investimenti sulla salute mentale dei giovanissimi in famiglia e a scuola. Osservandoli, per cogliere in anticipo i segnali del disagio.

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