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L’incredibile storia del Premio Nobel per la Medicina che infettava i pazienti con la malaria

La malaria è la più diffusa tra tutte le malattie provocate da parassiti. Credits: AFP

È stato l'unico psichiatra a mai vincere il prestigioso premio, molto prima della nascita della penicillina. E la sua malarioterapia è ancora applicata

Di Viola Stefanello
Pubblicato il 2 Ago. 2018 alle 12:41 Aggiornato il 2 Ago. 2018 alle 12:42

Molti anni prima della scoperta della pennicillina, nel 1927 il Premio Nobel per la Medicina andò allo psichiatra austriaco Julius Wagner-Jauregg.

La motivazione data dall‘Istituto Karolinska, l’università svedese che si occupa di assegnare il premio, era il merito di Wagner-Jauregg nell’aver scoperto “il valore terapeutico dell’inoculazione della malaria nel trattamento della demenza paralitica”.

La demenza paralitica è una malattia neuro-psichica che si manifesta nei malati di sifilide e che è caratterizzata dal progressivo indebolimento psichico globale e da un particolare gruppo di sintomi neurologici.

Per secoli, le uniche cure alla sifilide di stadio avanzato e ai sintomi collegati – fino all’introduzione della penicillina nel 1943 – sono state il tossicissimo mercurio e l’arsenico, comunque velenoso

Per questo, nel 1917 il dottor Wagner decise di prendere in mano la situazione.

Il dottor Wagner-Jauregg

Wagner aveva notato che i pazienti psichiatrici con sintomi neurologici sembravano migliorare dopo la febbre. Di conseguenza, decise di provare a iniettare ai propri pazienti il Plasmodium vivax, il parassita portatore di malaria più comune.

La malaria, già all’epoca, si poteva curare con il chinino, nonostante qualche disturbante effetto collaterale. Dunque, a Wagner sembrò giusto provare a curare la demenza paralitica dei suoi pazienti sifilitici facendoli ammalare di malaria, che poteva risultare mortale ma poteva anche, molte volte, essere guarita.

A far notare quanto poco etica sia stata, a posteriori, la decisione di Wagner, presa in modo in apparenza sconsiderato, è oggi la rivista scientifica statunitense Popular Science.

“Non era riuscito a trovare un buon modo di indurre la febbre ai propri pazienti senza ucciderli”, racconta la giornalista Rachel Feltman, “finché un giorno non arrivò un soldato malato di malaria alla sua clinica. Decise allora di iniettare direttamente il sangue di quell’uomo in un gruppo di suoi pazienti che soffrivano di gravi malattie mentali”.

Per stessa ammissione di Wagner, ne morirono il 15 per cento.

All’epoca, però, nonostante la scarsa etica dimostrata dal dottore si ritenne di premiarlo con il Nobel per la Medicina.

Oggi si ritiene che gli studi clinici del tempo non fossero affidabili, mancando tutto il processo di controllo e randomizzazione e mancando una definizione univoca di remissione e miglioramento delle capacità cognitive.

Nonostante questo, la terapia ideata da Wagner diventò molto famosa e fu estesa anche al trattamento di schizofrenia, oligofrenia ed epilessia – senza, però, ottenere spesso i risultati dimostrati con la demenza paralitica.

Gli esperimenti di Wagner andarono a creare un intero sistema di protocolli terapeutici, la piretoreapia, che consisteva nell’indurre la febbre per trattare una malattia.

Grazie alla scoperta della penicillina negli anni ’40, fortunatamente, la malarioterapia cadde in disuso.

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