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Cos’è l’ortoressia, l’ossessione per il mangiare sano: l’intervista di TPI alla psicoterapeuta Venditti

Credit: Getty Images

“Quando “mangiare sano” diventa patologico”

Di Mariangela Cutrone
Pubblicato il 18 Apr. 2019 alle 16:00 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:59

L’ortoressia è una vera e propria ossessione nei confronti del cibo sano e biologico. Secondo i recenti dati Istat, in Italia 3 milioni di persone sono affette da disturbi alimentari come anoressia, bulimia, drunkoressia e ortoressia. A soffrire di essi è soprattutto il genere femminile.

Il termine ortoressia deriva dal greco “orthos” che significa “giusto” e “orexis” che allude all’“appetito”. È un comportamento ossessivo basato sul controllo della qualità del cibo che si consuma. Sfocia in una vera e propria forma di fanatismo. Questo comportamento ossessivo è stato diagnosticato per la prima volta dall’inglese Steven Bratman nel 1997.

Chi soffre di ortoressia rischia di non apportare il giusto nutrimento al proprio organismo che invece necessita di equilibrio, varietà negli alimenti e bilanciamento degli elementi nutritivi. Notevoli sono anche le conseguenze dal punto di vista affettivo e sociale.

Per capire meglio le problematiche alla base di questo comportamento ossessivo la Dott.ssa Annalisa Venditti, psicoterapeuta, esperta dei disturbi alimentari presso il Gruppo INI Istituto Neurotraumatologico Italiano, spiega a TPI cosa significa soffrire di questo disturbo.

Quando “mangiare sano” diventa una patologia?

Mangiare in modo sano non è scorretto. Riguarda regole alimentari, scelte drastiche sui cibi da mangiare. Quando sfocia in una forma ossessiva non è però una libera scelta. L’ortoressia non fa ancora parte dei disturbi alimentari comportamentali ma è una forma ossessiva nei confronti del cibo che ha delle implicazioni serie sulla vita dell’individuo. La persona implicata, infatti, investe la maggior parte della sua giornata a selezionare i cibi da mangiare, a documentarsi sulle preparazioni e potenziali cotture. Alla base dell’ortoressia vi è una insoddisfazione di fondo nei confronti del cibo e di sé stessi.

Quali sono le implicazioni psicologiche dell’ortoressia?

La persona affetta da questo comportamento ossessivo rifiuta gli inviti a cena degli amici. Nutre un costante senso di colpa se si lascia andare e sgarra la sua dieta personalizzata. Il suo è un vero e proprio stato di ansia. L’ortoressia ha alla base una sorta di fanatismo che non viene compreso dagli amici che spesso reputano chi ne è affetto “presuntuoso”. L’implicazione è molto forte a livello emotivo.

Secondo i dati Istat sono le donne i soggetti più a rischio. Secondo lei perché?

Le donne seguono i canoni estetici imposti dal sistema. La figura femminile nella nostra società è considerata bella se è magra. La donna ci tiene molto all’immagine, alla cura del suo corpo. Attualmente il problema è ancora più amplificato con l’avvento dei social media in cui si tende a mettersi in mostra e a voler essere sempre in forma impeccabile. Negli ultimi anni l’ortoressia si sta diffondendo anche tra gli uomini che prestano più attenzione alla qualità della propria alimentazione.

Quali sono i primi campanelli d’allarme? Come un genitore può accorgersi che questo comportamento è nocivo?

L’attenzione morbosa nei confronti del cibo è il primo campanello d’allarme. Essa è accompagnata dal rifiuto di mangiare tutto quello che non rientra nei canoni di ciò che ci si è imposto. C’è gente che arriva persino a rinunciare ad alimentarsi pur di mangiare ciò che ritiene sano e giusto. L’ortoressia dilaga più tra gli adulti che tra gli adolescenti. Un altro campanello d’allarme riguarda l’attenzione nei confronti dei tempi di cottura e preparazione degli alimenti.

Come si poterebbe curare questa ossessione?

Prima di tutto è necessario prendere consapevolezza del problema. Ciò è difficile perché la persona implicata non ammette che il suo comportamento sia patologico. Occorre avviare un percorso multidisciplinare con un psicologo esperto in disturbi alimentari e un nutrizionista. La psicoterapia deve essere abbinata ad un supporto medico. Queste persone possono avere carenze di vitamine e uno stato di salute precario nei confronti del quale bisogna intervenire efficacemente.

In Italia manca una corretta educazione alimentare. Secondo lei da quando dovrebbe cominciare e come dovrebbe essere attivata?

L’educazione alimentare dovrebbe partire già nel grembo materno. Bisognerebbe formare le maestre già all’asilo. Purtroppo in Italia non si investe tanto nei confronti di questo tipo di intervento educativo. Si lascia poco spazio alla prevenzione. I genitori devono dare l’esempio ai propri figli lasciando da parte le proprie convinzioni errate e ossessioni. Bisogna seguire le esigenze del proprio corpo. Il corpo decide quando ha bisogno di cibarsi. L’educazione alimentare deve attivarsi prima in famiglia cominciando dai genitori.

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