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E quindi, lasciamo agli uomini la libertà di importunarci?

Credit: Pinterest

Scritta da cinque influenti donne francesi, e firmata da altre 100, la lettera aperta di critica al movimento #MeToo lascia aperte molte domande sui confini che determinano una violenza

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 10 Gen. 2018 alle 17:06 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 01:22

“Difendiamo la libertà di importunare, indispensabile alla libertà sessuale. Lo stupro è un crimine. Ma tentare di sedurre qualcuno, anche in maniera insistente o maldestra, non è un reato, né la galanteria è un’aggressione maschilista”.

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Scritta da cinque donne — la critica d’arte e scrittrice Catherine Millet, la psicanalista Sarah Chiche, l’attrice Catherine Robbe-Grillet e le giornaliste Peggy Sastre e Abnousse Shalmani — e firmata da un altro centinaio, tra le quali la più celebre è l’attrice Catherine Deneuve, la lettera aperta pubblicata sul quotidiano francese “Le Monde” denuncia il “nuovo puritanesimo” venuto fuori dopo il caso Weinstein e con il movimento #MeToo.

“Dopo il caso Weinstein”, si legge nella lettera, “c’è stata una legittima presa di coscienza delle violenze sessuali esercitate sulle donne, in particolare in ambito professionale, dove alcuni uomini abusano del loro potere. È stata necessaria, ma adesso questa ‘liberazione della parola’ ha provocato l’effetto opposto: ci viene intimato di parlare come si deve, di tacere ciò che scontenta, e quelle che rifiutano di piegarsi a tali ingiunzioni sono viste come delle traditrici, delle complici”.

Il testo denuncia la trasformazione del femminismo in “odio degli uomini” e lamenta una “ondata purificatrice”.

“Il puritanesimo usa gli argomenti della protezione delle donne e della loro emancipazione per meglio incatenarle a uno status di eterne vittime, di poverette dominate da demoni fallocrati, come ai bei tempi della caccia alle streghe”, si legge nel testo.

La lettera delle cento donne francesi tocca numerosi temi che da soli meriterebbero più di un’unica riflessione e che vengono invece ricondotti al solo discrimine che divide un’avance più o meno maldestra da una vera e propria violenza.

Libertà sessuale, vittimismo, violenza, libertà di parola, femminismo: tutto in un unico grande calderone che non risparmia nessuno. Nemmeno quelle donne che da “MeToo” si sono invece sentite rappresentate e in qualche modo tutelate, liberate e affrancate da colpe mai commesse.

Denunciare un’avance troppo spinta condanna quella donna a essere eterna povera vittima del potere fallocratico?

La libertà di parola è stata confusa con una caccia alle streghe che aveva per bersaglio il simbolo di un potere diverso da quello che ci hanno voluto far credere.

“#MeToo ha comportato sulla stampa e sui social una campagna di delazione e di accusa pubblica verso alcuni individui che, senza avere la possibilità di rispondere e difendersi, sono stati trattati come aggressori sessuali” scrivono le donne francesi.

“Questa giustizia spicciola ha già delle vittime: sono gli uomini sanzionati nell’esercizio del loro mestiere, costretti alle dimissioni, quando non hanno per torto che di aver toccato un ginocchio, provato a rubare un bacio, parlato di cose intime durante una cena professionale o di aver inviato dei messaggi a sfondo sessuale a una donna con cui l’attrazione non era reciproca”, prosegue la lettera.

La denuncia di #MeToo – incoronato dal Time come persone dell’anno 2017 – è stata quindi quella di un movimento di femministe privilegiate che dopo anni, e una carriera ormai avviata, hanno solo voluto dare un nome e un volto ai mostri del loro passato?

In un articolo del 2016, il saggista Pierfranco Pellizzetti citava una grande signora del Novecento, Françoise Giroud, già direttrice de l’Express, la quale sosteneva che “non ci sarà davvero eguaglianza se una donna eccezionale sostituisce un uomo normale in qualche ruolo importante, ma quando una donna normale prenderà il posto di un uomo normale”.

Ecco, partendo da questo assunto, la questione potrebbe basarsi su parametri molto più essenziali e funzionali: a parti inverse, cosa sarebbe accaduto?

Quando, cosa, come e con quali toni si sarebbe denunciato? Quale sarebbe stato l’oggetto delle violenze? In ultima analisi: denunciare sarebbe stata una formalità – giusta e sacrosanta – o una rivolta di persone in cerca di compatimento, tardivo per giunta?

Ma la lettera va oltre, chiama in causa gli “estremisti religiosi” e i “peggiori reazionari” che grazie alle denunce “hanno trovato pane per i loro denti, senza invece aiutare le donne a emanciparsi realmente”.

Quella di #MeToo e dei diversi movimenti che si sono diffusi in tutto il mondo – l’italiano #Quellavotache, il cinese #WoYeShi e il francese #balancetonporc – è stata un denuncia necessaria, a prescindere dai modi, dai luoghi e dall’elite che l’abbia fatta nascere.

Perché al di là delle intenzioni, nessuno è più stato in grado di fermare un’onda che ha aperto un varco su un universo troppo a lungo taciuto.

Eterne vittime di un presunto o reale potere fallocratico lo si resta se non si dà modo a una rivoluzione di nascere, accettandone l’ipocrisia e le storture di cui può essere farcita. 

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